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Londra, operazione Mani pulite nel paradiso del non profit

Il premier Tony Blair mette sotto inchiesta le charity del Paese e il loro organismo di controllo. E pensa di cambiare una legge inadeguata

di Carlotta Jesi

Qual è la capitale del volontariato europeo? Se state pensando a Londra, la città del Terzo settore che non ha problemi di soldi, dei provider sociali, dei web imprenditori che investono in fondi etici e dei volontari di Greenpeace che siedono tra gli azionisti della British Petroleum, la risposta è sbagliata. Il non profit che il mondo copiava, non c?è più. Intendiamoci, i 23 milioni di volontari del Regno Unito ci sono ancora. E anche le charity che producono un valore aggiunto sociale pari a 20 mila miliardi di lire. Solo che non funzionano bene come prima. A sostenerlo è il governo Blair, che per il secondo mandato ha scelto il Terzo settore come partner nella lotta all?esclusione sociale ma anche ordinato una revisione della normativa sulle charity. Anzi, un?indagine conoscitiva sull?associazionismo: per i prossimi sei mesi la Whitehall performance and innovation unit (Piu), una commissione d?indagine del ministero del Tesoro, passerà in rassegna l?intero corpus legislativo in materia di charity e le modalità con cui è applicato. Scopo dell?operazione, ufficialmente, è verificare se tutto funziona e se esistono margini di miglioramento. Ma fonti vicine alle associazioni, oltre che il quotidiano Guardian, sostengono che l?obiettivo sia in realtà la Charity Commission. Da mesi, infatti, questa commissione che è una specie di authority del non profit è accusata di essere responsabile della scarsa affezione dei cittadini verso le charity. Una colpa gravissima se si pensa che oltre il 90% dei fondi delle associazioni britanniche provengono da donazioni private. E che, l?anno scorso, due inglesi su tre hanno dichiarato di essere favorevoli all?introduzione di strumenti di valutazione con cui decidere a quali enti dare il loro sostegno. Strumenti che, evidentemente, la Charity Commission finora non è stata in grado di fornire. Anzi, la Commissione si sarebbe macchiata di un?altra colpa: essere poco severa verso gli enti che ?dimenticano? di pubblicare e far certificare i loro bilanci o, peggio, spendono troppo per la raccolta fondi. Una prassi sempre più criticata: un mese fa la Scottish Charity Law Review Commission, una commissione d?indagine che ha appena studiato le 44 mila organizzazioni di volontariato scozzesi, ha inserito fra i provvedimenti da prendere l?esclusione dai registri del volontariato degli enti che spendono troppo in fundraising.


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