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Il parastato non cercatelo qui

L' Istat ha dimostrato come gli enti non profit italiani siano nel mondo i meno dipendenti dalla pubblica amministrazione.

di Redazione

Stavolta il legislatore con il via libera all’Authority del non profit è stato proprio bravo, lineare, di poche ma efficaci parole. Col tempo che ha avuto a disposizione, verrebbe da aggiungere, avendo impiegato ben cinque anni per assolvere a un obbligo cui la legge (662/96) imponeva di adempiervi “improrogabilmente” entro il 31 dicembre 1997. Ma tant’è. Prendiamo, per esempio, l’articolo 3 del Dpcm 329/2001 (quello istitutivo, appunto, dell’Agenzia per il Terzo settore) laddove si occupa di raccolta fondi. Al comma 1, lettera i) si legge: “l’Agenzia vigila sull’attività di raccolta fondi e di sollecitazione della fede pubblica, anche attraverso l’impiego di mezzi di comunicazione svolta dalle organizzazioni, dal Terzo settore e dagli enti, allo scopo di assicurare la tutela da abusi e le pari opportunità di accesso ai mezzi di finanziamento”. Finalmente un provvedimento che mette bene a fuoco una delle questioni cruciali del non profit italiano: l’approvvigionamento finanziario. Peccato che giunga a regolare il recinto un po’ in ritardo. Sì, perché se è vero che vigilare sulla correttezza e sulla trasparenza delle attività di fund raising è un fatto importantissimo, l’impegno che l’Authority si appresta ad assumere di garantire agli enti non lucrativi pari opportunità di accesso ai mezzi di finanziamento appare tardivo. Il mondo del Terzo settore infatti, pur tra mille difficoltà, ha saputo andare a cercarsi sul mercato le risorse per mantenersi. I dati parlano chiaro. Dal recente censimento Istat delle istituzioni e imprese non profit emerge come ben l’86,9% delle organizzazioni senza fine di lucro registra entrate di origine prevalentemente privata a fronte di un 12,9% di origine pubblica. Una percentuale che sale addirittura al 90,2% nel caso delle associazioni non riconosciute. Certo, le cose cambiano significativamente se esaminiamo per esempio il comparto delle cooperative sociali che si finanziano per il 58,8% con entrate prevalentemente pubbliche. Ma qui sussiste l’annosa questione delle convenzioni con la pubblica amministrazione e delle gare di appalto assegnate con la procedura del massimo ribasso che non di rado assoggettano le cooperative a una vera e propria dipendenza dall’ente pubblico. Che dire poi del confronto internazionale che (smentendo una serie di luoghi comuni) ci vede addirittura in pole position, con il 48,4% delle entrate di natura privata (ved. tab. a pag. 9) dopo Stati Uniti, Giappone e Spagna ? Ben venga, allora, questa tanto attesa authority. Che cominci presto a vigilare sulla trasparenza delle raccolte fondi e ad adoperarsi per rendere più equo e trasparente il finanziamento delle Onlus italiane.


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