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Economia & Impresa sociale 

Legge cooperative, secondo round

Riforma del diritto societario. Quel maledetto art. 5. Le cooperative italiane, 50mila, si mobilitano unite per impedire che l’economia sociale venga confinata in un angolo.

di Riccardo Bonacina

Così no. Così non si fa del male solo al mondo cooperativo, ma a tutto il Paese e all?economia. E’ pressoché un grido unanime quello che sale dai soggetti, diversi, dell?economia sociale italiana. Protesta la Legacoop con 10 mila cooperative associate, centrale della mutualità operaia e contadina tradizionalmente di sinistra e raccoglie un milione di firme (per aderire andate al sito www.legacoop.it), protesta la Confcooperative, centrale bianca e cattolica, con le sue 18 mila realtà associate e propone una valanga di emendamenti, protestano le coop della Compagnia delle Opere con il loro migliaio di realtà non profit associate. Insomma, sui principi costituzionali che riconoscono la realtà antica dell?economia sociale non si scherza, e non si gioca. E allora ecco l?intero arco costituzionale delle forze sociali e mutualistiche che proprio il giorno in cui la Riforma sul diritto societario riprende il suo iter al Senato, sparano bordate ad alzo zero. Stiano attenti l?onorevole La Malfa e tutti i pasdaran confindustriali e corporativi perché le bocche di fuoco sono tante. Ecco i numeri che, al di là delle metafore guerresche, spiegano bene quanto sia solida e quanto sia cresciuta l?economia sociale in questo Paese. E di conseguenza spiegano anche i malumori, le invidie e spesso gli odi di tutte le new economy e old corporation. Sono 50 mila le realtà cooperative in Italia e servono quasi 10 milioni di soci, il fatturato aggregato è di circa 135 mila miliardi. Ivano Barberini, presidente Legacoop, è categorico: «Con l?approvazione dell?art. 5 della legge delega sul diritto societario, si è consumato un attacco alla Cooperazione che non ha precedenti dal dopoguerra. Si tende a colpire la cooperazione che è cresciuta non in virtù di privilegi ma della capacità imprenditoriale e della rinuncia di molte generazioni di soci a beneficiare personalmente della ricchezza, destinandola a riserve indivisibili: un fatto che si tende ad ignorare da parte della maggioranza che ha approvato l?art.5 e che rappresenta l?esatto contrario della ?prevalente finalità lucrativa? con la quale si pretende di giustificare lo stravolgimento operato del diritto societario cooperativo». Più compassato, ma non meno severo, è il professor Carlo Borzaga, docente di Economia del lavoro e studioso del movimento cooperativo. Borzaga ci spiega il nodo del contendere: «Non c?è dubbio che l?articolo 5 della Riforma del diritto societario nasca dalla paura, magari da una certa invidia, di altri soggetti del mercato. Insomma, l?idea è punitiva. Gli emendamenti già apportati alla Camera rispetto al testo originale, ne attenuano in parte gli effetti, ma resta il fatto che si riduce il concetto di mutualità ai soli soci. Mentre la Costituzione e la dottrina economica riconoscono la funzione sociale della cooperazione, risconoscono che la mutualità è un bene comunitario. Ma, vedete, di tutto si può discutere, si possono porre problemi accettabili, per esempio dare una possibilità di uscita dalla cooperazione, o ragionare sulla destinazione delle riserve indivisibili, ma non si può entrare a gamba tesa su una delle realtà economiche più vive e interessanti del Paese». Ivano Barberini ribadisce: «A quelli che protestano, senza sapere nulla, per i nostri presunti vantaggi, dico: ?trasformatevi in cooperativa! Rinunciate ai vostri profitti, fate come noi?. Ma non è questo il punto, la verità è che vogliono chiudere la cooperazione in un ghetto protetto. Oggi hanno tagliato i rami dei consorzi agrari e delle banche di credito cooperativo, domani taglieranno le cooperative di consumo, e ci spingeranno dentro una marginalità protetta, quella da cui il movimento, a prezzi di sacrifici grandi, era risucito ad uscire. Per questo siamo mobilitati in maniera unitaria, dalla Lega alla Compagnia delle opere». Marzocchi, presidente di Federsolidarietà, non dispera che a colpi di emendamenti quel maledetto articolo 5 si possa migliorare: «Prevedere che le coop si possano trasformare in società lucrative, deve essere un provvedimento temporaneo, non può diventare norma. Se la si introducesse tout court si affermerebbe un principio sbagliato e distruttivo, permettendo di creare un valore aziendale per poi intascarsi il patrimonio. Noi siamo i primi a sostenere che il fine non giustifica i mezzi, che la solidarietà non può essere perseguita senza mutualità e coinvolgimento dei soci. Ma questo articolo è confuso, nato da una preoccupazione fiscale, interviene sulla natura stessa della cooperazione. Così no».


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