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Il dibattito: Yunus, Vitale, Zamagni e Borgomeo si confrontano

Il modello di microcredito è applicabile ovunque? Come passare dal microcredito alla finanza per lo sviluppo? Come rispondere alle critiche della grande finanza?

di Redazione

Dopo la lezione di Muhammad Yunus, è seguito un interessantissimo dibattito. Vi hanno preso parte Marco Vitale, presidente Aifi-Associazione italiana investitori istituzionali; Stefano Zamagni, economista, presidente Icmc-International Catholic Migration Commission; Carlo Borgomeo, esperto di finanza per lo sviluppo. Ve ne proponiamo una sintesi. MARCO VITALE Il professor Yunus l’ho conosciuto sul campo, lavorando. Io conoscevo le sue idee, i suoi approcci, che non sono approcci nuovi per noi, per la Lombardia. Carlo Cattaneo scriveva cose simili nel 1861 e don Sturzo, sempre dimenticato dai cattolici, nel 1902 sviluppava a Caltagirone il programma municipale dei “Cattolici municipali”, e mise al primo punto la creazione di cooperative di credito rurali, fondando poi queste cooperative. Una di queste esiste ancora ed è fiorente ed è stata acquistata poco tempo fa dal Credito Valtellinese. Queste cooperative non facevano cose molto diverse. Portare l’analfabeta contadino del 1902 in una piccola banca e farlo diventare socio significa praticare gli stessi concetti che ispirano l’azione di Yunus nel suo Paese e in altri Paesi. Il caso Kosovo Noi ci siamo conosciuti sul campo quando io pensai che una certa quota del Fondo per la Missione Arcobaleno affidatomi dai risparmiatori italiani, poteva, e doveva, essere affidata in uno schema di microcredito per aiutare i kosovari, che uscivano da una guerra tremenda, a riprendere la loro attività: naturalmente una goccia in un mare grande, però una goccia positiva. Questa era l’idea che ci ispirò e io assegnai a questo progetto 5 milioni di dollari su un piano triennale. Fare questo ha comportato, ma non voglio drammatizzare, il superamento di tanti ostacoli: prima di tutto le idee dei miei più stretti collaboratori e dei miei legali, che erano profondamente contrari; poi l’opinione pubblica internazionale, che subito piombò su questo piccolo episodio. Il Financial Times gli dedicò un articolo affermando che era una bella cosa, ma che non avrebbe funzionato. Non avrebbe funzionato perché fare il microcredito nelle campagne del Bangladesh è una cosa diversa che farlo in un Paese che è in una crisi post bellica, per cui ci vogliono altri strumenti. Però fui sostenuto da due persone: l’allora presidente del Consiglio italiano, Massimo D’Alema e da Bernard Kouchner, che era l’incaricato Onu per l’amministrazione del Kosovo. Quando andai a parlare con Kouchner mi disse immediatamente che conosceva benissimo l’esperienza della Grameen e disse che bisognava fare questo progetto, e con il suo entusiasmo mi diede un grandissimo aiuto. Avevamo bisogno dell’autorizzazione e allora Kouchner chiese alla sua burocrazia di fare subito un regolamento sul microcredito. La sua burocrazia rispose che prima occorreva fare la legge bancaria. Kouchner rispose che per fare la legge bancaria ci avrebbero messo 5 anni, e penso che non l’abbiano neanche adesso. Quindi, fu fatto il regolamento sul microcredito assumendo che la legge bancaria ci fosse già e Kouchner lo impose ai suoi uomini: questo ci ha permesso di partire in modo preciso in Kosovo. Ho ricordato questi episodi per sottolineare il valore degli uomini che prendono delle decisioni. C’è stato un appello, nella parte finale della relazione del professor Yunus, a questi uomini, che rompano un po’ gli schemi burocratici, gli schemi della saggezza convenzionale. Occorre prepararsi a farlo sempre, mettendo in conto che c’è una grandissima forza contraria a questo modo di pensare, a questa assunzione di responsabilità. Questa lunga premessa è per spiegare che la stima, anzi più che la stima direi l’amicizia, e la collaborazione con il professore, mi dà la legittimazione per porgli una domanda molto cruda, che però in questa sala, dove ci sono tantissimi giovani, va posta. Le critiche del Wall Street Journal Professor Yunus, lei ha detto che il microcredito è una cosa buona perché “it works”, funziona. Questa è la condizione, attenzione, non dobbiamo fare del buon cuore, dobbiamo fare delle cose che funzionino, e quello che è interessante dell’operazione Grameen è che funziona. Oggi su questo “funziona”, c’è un attacco. Il Wall Street Journal del 27 novembre 2001 ha pubblicato, in un articolo molto importante e molto lungo, severe critiche nei confronti della Grameen Bank, critiche che lei certamente conosce e sul quale io devo chiederle di rispondere. Perché questo articolo dice che: 1) Non è vero che il rimborso dei crediti si mantiene a livelli così elevati così come voi dite. Quindi non funziona. 2) Voi non dite chiaramente questo perché avete delle pratiche contabili che rinviano il riconoscimento di queste perdite o presunte perdite o ritardo di rimborsi, rinviandole di due anni e questo non è accettabile. Quindi siete accusati di manipolazione contabile, più o meno come la Enron. 3) Questa proprietà cooperativa dove i clienti sono anche proprietari, è una cosa orrenda secondo il Wall Street Journal . Questa gente non sa cos’è la storia della mutua cooperazione, nel loro Paese forse non l’hanno mai avuta. In Europa l’abbiamo avuta. Quello che rende quest’attacco grave è che non viene dalle solite grandi organizzazioni finanziarie che hanno sempre combattuto l’esperienza della Grameen Bank, anche quando hanno fatto finta di accettarla, ma questo articolo dà voce a organizzazioni non profit e a organizzazioni che svolgono compiti analoghi nel mondo, che si ergono in posizione abbastanza critica nei confronti della pratica Grameen Bank. MUHAMMAD YUNUS Grazie per la domanda. Questa non è la prima volta che siamo stati attaccati dalla stampa, e da molti altri. Una volta nel 1993, quando abbiamo avuto una terribile inondazione in Bangladesh, il Financial Times pubblicò un editoriale che sosteneva che la Grameen Bank era stata spazzata via e che non avrebbe potuto sopravvivere e che era finita: abbiamo dovuto rispondere che non solo saremmo sopravvissuti, ma saremmo diventati più forti, e infatti siamo più forti di quanto non lo fossimo nel ’93. L’articolo del Wall Street Journal fu scritto partendo dal punto di vista con cui si giudicano le banche tradizionali. Innervosisce molto il fatto che noi non abbiamo nessuno strumento legale. Ma la questione sollevata dal giornale si riferisce a una seconda terribile alluvione in Bangladesh, quella del 1998, che investì i due terzi del Paese e l’acqua arrivò a toccare i tetti delle case. Normalmente le alluvioni in Bangladesh durano due o tre settimane e arrivano, nel peggiore dei casi, a quattro; quella del ’98 ne durò dieci. Immaginate i due terzi del Paese colpiti dall’alluvione: dove poteva andare la gente? Dove poteva vivere? Così, ci preparammo subito a fare nuovi prestiti, demmo enormi quantità di denaro sotto forma di fresh loans. Una regola a misura d’uomo La nostra unica intenzione fu quella di farli rimanere vivi e permettergli di ritornare a lavorare. Questa operazione infranse una delle regole della nostra banca: non è possibile ricevere un prestito se non si è estinto il debito precedente. In questa situazione avevano debiti aperti, ma tutto era stato spazzato via, quindi decidemmo lo stesso di concedere prestiti per farli ricominciare da capo. Ma mentre davamo i soldi, gli dicevamo che i loro debiti aperti non sono cancellati: un altro dei principi della Grameen, infatti, è che nessun credito può essere cancellato. In quel caso ritardavamo solo le scadenze. I vecchi debiti li avrebbero dovuti saldare molto dopo, mentre quelli nuovi secondo le normali scadenze. Noi attualmente sappiamo quali sono i debiti posticipati e quali sono quelli normali. È per questo che la media dei debiti saldati è scesa, ma noi sappiamo perché è scesa. È una scelta che abbiamo fatto noi. Quando uscì l’articolo del Wall Street Journal noi abbiamo dato ogni spiegazione: siamo una forte organizzazione finanziaria, non abbiamo problemi di sofferenze. I problemi di restituzione ci sono quando la gente non restituisce i soldi che noi gli prestiamo. Come ho già spiegato, il nostro principio è che la gente restituisca sempre quello che ha avuto in prestito. Sono pochi quelli che ritardano e praticamente non abbiamo nessun caso di gente fuggita con i nostri soldi. Se vi interessano i dati sono tutti riportati sul nostro sito Internet. Non c’è nessuna ragione per preoccuparsi poiché la Grameen Bank non è mai stata così forte come oggi. STEFANO ZAMAGNI Ha fatto bene Marco Vitale a ricordare come il microcredito abbia radice antiche. Lui ha ricordato la nascita delle casse rurali, oggi diventate banche di credito cooperativo, ma si potrebbe andare più indietro all’origine stessa dell’idea di banca: quella del Monte di pietà, che nasce a Perugia nel 142. È importante ricordare questo perché, come ormai la ricerca storica economica ha messo in evidenza, all’origine i Monti di pietà ebbero la stessa struttura operativa e le stesse ragioni di intervento della Grameen Bank di oggi. Questo ci conforta sulla validità di quest’idea, perché quando un’idea ha radici antiche, vuol dire che coglie nel segno e non è qualcosa di evanescente. Generatore di fiducia Prima della domanda, anch’io vorrei fare una considerazione sull’intervento del professor Yunus, in particolare sul concetto di microcredito come generatore di fiducia. Abbiamo ascoltato come il meccanismo funziona in questi termini, l’assunto è che chi prende soldi in prestito è onesto, nel senso che è portato a ripagare. Ecco questo può sembrare una banalità, ma è fondamentale, perché soltanto se si parte con l’ipotesi che chi prende soldi è onesto si può generare un comportamento onesto. Se si parte invece dalla cultura del sospetto si ottiene quello che il sospetto predice. In questo senso mi sembra, e vorrei sottolinearlo con grande enfasi, che l’importanza del microcredito va al di là della stessa operazione finanziaria (che si per sé è già rilevante) ed è quella di creare reti di fiducia. Noi sappiamo che la parola fiducia deriva dal latino fides, che vuol dire corda: è la corda che unisce due elementi. E noi sappiamo, nell’epoca della cosiddetta globalizzazione o del modello post fordista, che il capitale sociale è la vera risorsa scarsa, non sono le materie prime, né il capitale umano, ma è il capitale sociale che non è nient’altro che l’insieme delle corde, cioè delle reti o delle relazioni di fiducia. E allora trovare un’istituzione che, come in questo caso, è generatore di reti di fiducia è ancora più importante degli stessi risultati importanti che Yunus ci ha descritto. È importante che lo si dica, soprattutto per noi che viviamo da questa parte del mondo, perché si tende a guardare queste iniziative con un certo atteggiamento di superiorità, del tipo: «fanno bene loro in Bangladesh e nei Paesi in via di sviluppo perché al loro livello non possono permettersi altro». Invece non è vero, perché in questo modo si dimentica questo elemento che ho appena sottolineato. Nuovo modello di ordine sociale L’idea del microcredito, e altre che possono seguire, hanno un significato per il nuovo modello di ordine sociale che possono realizzare. Ora la parola “ordine sociale” è una parola di comodo, perché senza ordine sociale ogni società cadrebbe nell’anarchia, però noi sappiamo che ci sono diversi modelli di ordine sociale, e la diversità dei modelli ha a che vedere con la relazione che si va a stabilire tra la società da una parte, lo Stato dall’altra e quel che è la sfera delle relazioni economiche che ormai, per prassi consolidata, si è abituati a chiamare for profit. Allora il punto è esattamente questo: a seconda di come noi misceliamo questi tre elementi, questi tre vertici di questo ipotetico triangolo, noi otteniamo modelli diversi, di ordine sociale. La diversità dei modelli ha effetti rilevanti non solo e non tanto sul piano dell’efficienza, ma soprattutto sul piano della libertà. Ecco che questo è un punto che riguarda anche noi che viviamo nei Paesi dell’Occidente avanzato. Perché il microcredito e le iniziative analoghe non sono solo qualcosa che serve a eliminare la povertà, (non dobbiamo mai scordarcelo, ma è riduttivo pensare solo a quest’aspetto) ma servono anche a implementare un modello di ordine sociale in cui i cittadini decidono il loro futuro in tutta autonomia e libertà. Ciò vuol dire che il modello non ci può essere imposto dall’uno o dall’altro dei vertici che ho appena citato. Perché se sottoscriviamo una certa concezione di libertà, è alla gente che vive nella società che spetta di decidere il modo del proprio intraprendere. Il modello di società civile che si sta prefigurando nel nostro Paese o nell’Occidente, vede di necessità l’urgenza di utilizzare questi strumenti. La microfinanza Ecco allora che arrivo alla domanda specifica: lui ha parlato di microcredito perché questo è il convegno sul microcredito, ma cosa pensa Yunus della microfinanza? Cioè di quello stadio successivo, successivo in senso logico, non necessariamente in senso temporale, alle iniziative di microcredito. La differenza è che il microcredito è un’iniziativa che s’iscrive in quell’approccio del così detto poverty landing approach, la microfinanza fa un passo avanti, cioè parte dal riconoscimento che i poveri non solo hanno bisogno di credito, ma sono anche capaci di risparmio. Ovviamente sono capaci di risparmiare poco, ma nessuno si fa carico del loro risparmio, ed è per questo che recentemente nella letteratura è stata introdotta la distinzione tra economically active poor e gli extremely poor. È stato calcolato che i poveri economicamente attivi sono coloro i quali si collocano nella fascia che va dalla linea della povertà assoluta alla linea della povertà relativa. I poveri economicamente attivi Ebbene, è stato calcolato che nel mondo di oggi sono 400 milioni le persone che non sono povere in senso assoluto ed estremo, ma che sono in grado di risparmiare qualcosa, seppure poco, ma il loro poco risparmio non è appetibile alle banche commerciali e quindi questo risparmio prende vie che possiamo immaginare e soprattutto non gli aiuta a garantire la sostenibilità del processo stesso. Mi piacerebbe sentire una sua opinione su queste ipotesi di microfinanza che hanno come obiettivo quello di offrire di servizi di gestione anche del risparmio, e se, in quest’ottica, la sua esperienza della Grameen Bank possa andare anche in questa direzione. MUHAMMAD YUNUS Un commentatore ha osservato che, per quanto riguarda la fiducia che abbiamo nell’onestà dei nostri clienti, noi rischiamo troppo. Ma io sono convinto che solo le nostre regole e procedure li fanno diventare disonesti. Nei corsi per il nostro staff enfatizziamo molto il fatto che se qualcuno non salda i debiti, non bisogna arrabbiarsi con la persona, perché non è riuscita a restituire i soldi. Bisogna arrabbiarsi con noi stessi, perché non sappiamo fare il nostro mestiere. È colpa nostra. E la colpa può essere personale oppure del sistema, il che vuol dire che c’entriamo tutti, perché abbiamo fatto le regole in modo che esse non funzionassero bene. Così la responsabilità è nostra in ogni caso, che è il modo migliore per fare i conti con questi casi. Crediti e risparmi Noi cerchiamo in questi casi di rivedere i criteri del nostro sistema per vedere dove ha creato problemi alla gente. Quando abbiamo aperto la Grameen Bank nel 1976 abbiamo cominciato con i crediti e i risparmi, che non sono mai stai argomenti separati per noi. I nostri risparmi erano molto limitati perché avevamo a che fare con persone che avevano pochissimi soldi. Riuscivamo a risparmiare un penny di dollaro al mese. Era più un problema di senso e di partecipazione più che la somma reale che si riusciva a trattare. Il fatto era che si dimostrava che alla gente che non erano inutili e che riuscivano a risparmiare anche qualcosa. Generavamo coraggio in loro, un nuovo atteggiamento, un nuovo modo di guardare a loro stessi, il che era molto più importante dei soldi che di fatto risparmiavano. Ci siamo accorti che risparmiare in quel contesto, dava come esito che si creava in loro un’atteggiamento rivolto al risparmio. Oggi i risparmi sono molto più sostanziosi di quanto non lo fossero 25 anni fa. Avevamo creato un sistema integrato tra risparmi e finanziamenti. Di fatto però l’ammontare dei finanziamenti ha sempre superato di gran lunga quello dei risparmi. Non c’è relazione tra quanto si riesce a risparmiare e quanti finanziamenti si ricevono. I finanziamenti dipendono da quello che vuoi realizzare. In questo senso li abbiamo sempre trattati come filoni separati. Lei ha chiesto cosa succede se c’è qualcuno che è così povero che non riesce a risparmiare. Finanziamento, diritto umano La mia posizione originale è che il finanziamento debba essere considerato come un diritto umano, cosicché a nessuno possa essere negato. Così non si può portare le condizioni del risparmio a un livello che a qualcuno possa essere negato. Occorre creare delle soluzioni creative e ragionevoli in modo che la gente non si senta scoraggiata a risparmiare. Non si possono dettare troppe condizioni, altrimenti non vale la pena neanche iniziare. Allora occorre lavorare sulla produzione di reddito che poi può essere risparmiato. Nel caso della Grameen Bank il risparmio svolge un ruolo molto importante, tanto da permettere quasi l’autosostentamento e così la banca non dipende da nessun finanziatore esterno. I poveri non devono soltanto incominciare ad avere un reddito, ma devono anche costruirsi una base di reddito che gli permetta di non scivolare più nella povertà. Le forme di risparmio gli possono dare una base più solida. I fondi pensione Questo è quello che stiamo cercando di realizzare con l’introduzione dei fondi pensione e strumenti analoghi. Questo anche perché il Bangladesh è un Paese che è spesso colpito da calamità naturali che possono spazzare via tutto. Il secondo aspetto è che i nostri clienti sono per la maggior parte donne. In Bangladesh legalmente tutto appartiene al marito, e il marito insiste per tradizione che tutto appartiene a lui. I problemi insorgono soprattutto quando avvengono disastri all’interno delle famiglie come ad esempio il divorzio. Quando la moglie vuole portare con sé la propria mucca, il marito dice che la mucca appartiene a lui. Ma la moglie risponde: «no, la mucca appartiene a me, io ho ottenuto il prestito dalla banca per comperarla e io ho restituito il debito, quindi la mucca è mia». E il marito risponde: «no questa casa appartiene a me e tu fai parte di questa casa, quindi tutto ciò che c’è in questa casa è mio, compreso la mucca». Abbiamo assistito a moltissimi casi di questo genere avvenuti nelle corti locali e ogni volta è lei a vincere. Perché le donne possono dimostrare di essere socie della nostra banca e hanno i documenti che dimostrano i debiti estinti in cui è scritto il loro nome. Il manager della nostra banca è sempre coinvolto come testimone in queste dispute e assicura che è stata la moglie ad aver richiesto i finanziamenti. E tutte le volte la corte dà ragione a lei. L’importanza dell’honourship Così abbiamo cominciato a dare dei finanziamenti per costruire le case, in modo da garantire alle mogli la proprietà della casa. Il problema è che se la terra su cui è costruita la casa è del marito, anche la casa risulta di sua proprietà. Così la banca richiede che la terra venga intestata alla moglie. Ma poi succede che una volta che casa e terra appartengono alla moglie, i divorzi diventano estremamente difficili perché sarebbero gli uomini a dover andare via. Così l’honourship diventa importante e diventano importanti anche i risparmi, perché i risparmi sono a nome di chi li contrae e nessuno può avere accesso ai risparmi se non chi li contrae. Per quanto riguarda la distinzione tra economically active poor e extremely poor, la Grameen Bank non fa alcuna distinzione. Noi guardiamo alla gente non per quello che può dimostrare di avere, ma guardiamo a chi è estremamente povero come a colui che non è in grado di dimostrare quanto vale, non può esprimere le proprie potenzialità. La nostra comprensione va nei confronti di chi non può ancora dimostrare la propria abilità. Questo è quello su cui noi vogliamo costruire il nostro sistema. Noi diamo una possibilità a chi non l’ha ancora avuta perché tutti hanno qualcosa da far venir fuori. Qualcuno ci metterà di più, altri meno, perché prevale la paura del passato, prevale l’insicurezza, ma tutti alla fine, riescono a farcela eliminando questa superficie problematica. CARLO BORGOMEO Penso che il gran numero di giovani presenti a questo incontro e l’intensità dell’applauso che nascondeva a mala pena una fortissima emozione per le cose che ci ha detto e che ha fatto il professor Yunus, ci spingerebbe stamattina a ragionare di temi molto grandi, molto attuali, e ahimè, molto drammatici. Io ho conosciuto Yunus perché un mio amico dell’Ocse (eravamo in Tunisia), mi dette il libro, naturalmente l’ho letto con grande entusiasmo poiché in quei tempi stavo progettando il prestito d’onore, di cui parlerò poi. E quindi ho avuto grande conforto, perché chi pensa cose innovative se ha notizie che non solo qualcun altro ci ha già pensato, ma ha anche realizzato la stessa cosa, si sente un po’ meglio. Il prestito d’onore Perciò decidemmo, come Società per l’imprenditoria giovanile, di ristampare il libro e di farne una distribuzione militante. Ne stampammo 5mila copie. Ne Il banchiere dei poveri trovai molte e decisive provocazioni e insegnamenti sul grande principio, e cioè che per i poveri il credito deve essere considerato come un diritto e come tale va esercitato. Oggi, però, vorrei parlare di che cosa Yunus può insegnare a noi, cioè alle banche. Quando ho letto il libro e ho fatto la distribuzione militante ho stralciato un paio di frasi con cui mi sono fatto dei manifesti nel mio ufficio. Una è quella frase fantastica che esalta la tradizione del lavoro che adesso, con l’attenuarsi del lavoro fordista tradizionale, è di grande attualità. La seconda è la frase che lo stesso Yunus ha ricordato oggi e che è di grandissima efficacia e cioè «abbiamo visto come fanno le banche e noi facciamo il contrario». Ora questa battuta nasconde una questione importantissima: parliamo del nostro prestito d’onore. I meridionali lo conoscono meglio. Un cambiamento culturale Noi tutti siamo in un Paese che, com’è noto, dice ai giovani di non aspettare il posto fisso, il nostro non è il target dei poveri, però è importantissimo come ragionamento, si invita i giovani a una rottura psicologica, culturale (perché il giovane meridionale che dice ai suoi genitori «voglio aprire un’erboristeria» o «voglio fare una scuola di music» o «voglio fare un provider» si sente rispondere, nove volte su dieci, «non perdere tempo, pensa a sistemarti»): quindi il giovane rompe culturalmente con la famiglia. E così il giovane va in banca e porta la sua idea e non ha un rifiuto in merito alla sua idea, ma come risposta ha una risata. «Ho bisogno di un prestito». «No». «Perché?». «Perché no». È così. E quindi nella sesta o settima potenza industriale del mondo, che sarebbe l’Italia, per dare 40 milioni di vecchie lire a un giovane che vuole mettersi in proprio, bisogna che ci pensi una burocrazia centrale, far arrivare circa 140mila domande (pervenute a oggi), per un prestito d’onore, fare una selezione abbastanza rigorosa e dare i soldi. E le banche: fuori. Banche sempre più distanti Mi avvicino alla domanda che voglio fare a Yunus. Parlando non di poveri (perché stiamo parlando d’altro, stiamo parlando di lavoro, di responsabilità come ci ha ricordato Zamagni, è un altro ragionamento rispetto a quello fondamentale di Yunus), ma parlando della banca. Delle banche che si stanno allontanando dal territorio, pericolosamente. C’è questa specie di euforia-isteria di concentrazione. Le banche si allontano dalle piccole imprese: attenzione, incominciano a girare voci inquietanti per cui gli istituiti di credito che hanno costi di gestione molto alti sono disposti a cedere i crediti in bonis a determinate condizioni perché non hanno tempo per riscuotere. Ci sono fenomeni che conosciamo tutti, sono stati ricordati molto esplicitamente come quelli che dicono «bella questa cosa di Yunus, però qui non si può fare perché c’è un altro clima». Ma questa asimmetria non valga per tutto, queste cose non si possono fare, ma le ferree leggi delle società multinazionali valgono dappertutto: un po’ asimmetrica questa concezione. Tutto questo è una frontiera importante. La domanda a Yunus probabilmente è un po’ sempliciotta però è una mia curiosità personale: lui, che continua con l’entusiasmo che abbiamo visto, pensa che ci sarà un giorno in cui queste continue provocazioni riusciranno a spezzare la mentalità che tende a ridimensionare il tutto in un recinto particolare, l’esperimento per i poveracci casomai da guardare con simpatia? Questa esperienza a un certo punto, magari per i volumi raggiunti, metterà in crisi alcuni sacri principi della finanza, oppure non riuscirà a spezzare certe regole? MUHAMMAD YUNUS Grazie per aver distribuito 5mila copie del mio libro! Adesso capisco perché ricevo così tante lettere dall’Italia. Ricevo moltissime lettere da numerosi Paesi, ma circa il 50 per cento di queste vengono dall’Italia, e molte da giovani. Questa vostra iniziativa probabilmente è la ragione per cui la gente italiana mi scrive. Deve aver toccato delle corde particolari dentro i loro cuori per cui si sono sentiti emozionati. Il problema più grande che devo affrontare nel mio lavoro sono gli schemi mentali della gente, che sono difficilissimi da cambiare. I giovani sono quelli che questo problema ce l’hanno in misura minore e riescono a capire meglio quello che faccio, le nuove generazioni hanno la mente più aperta. Nelle vecchie generazioni è molto difficile vedere casi di persone che abbandonano i propri schemi mentali. Fuori da ogni logica bancaria tradizionale Riguardo alla domanda: sì, questi sono gli schemi mentali, i principi sacri di cui parlava. Una delle battaglie che ho avuto con il Wall Street Journal, si basava proprio sul fatto che avevamo due approcci differenti al problema: il giornale non capiva che noi non seguiamo i criteri delle banche normali e la ragione sta nel fatto che fin dall’inizio abbiamo cercato di distinguerci dalle banche tradizionali, non perché siano cattive, ma perché se rientrassi nel loro modo di pensare rimarrei imprigionato nella logica circolare delle banche tradizionali. Per questo dobbiamo differenziarci, per rimanere fuori da questa logica circolare. Non posso pensare di entrarci per poi uscirne, una volta dentro non se ne si esce. Anche se il mio sistema è molto più debole, ma è migliore perché la debolezza viene dal sistema stesso, fa parte del sistema. I sacri principi cui lei accennava non sono proprio così sacri come si pensano. Recentemente è fallita una grande banca giapponese in cui questi principi non hanno retto, e così per la crisi asiatica. Per me l’unico principio sacro è quello che funziona per la gente, in particolare per i poveri. Inoltre, dico che se qualcosa non funziona, non è colpa della gente, è colpa del sistema. Bisogna tornare indietro al progetto e chiedersi dove si ha sbagliato e se riusciamo a correggere il tiro, la gente starà meglio. Lavoro da creare, non da cercare Lei ha anche parlato dell’occupazione dei giovani in termini di posto fisso e impresa personale. Questo vale anche di più in Bangladesh perché i giovani che escono dall’università e dalla scuola non sanno cosa fare. Io dico a questi giovani che non aspettino che il lavoro gli venga incontro, questo è uno schema mentale che vi hanno messo in testa i guru dell’università, per cui bisogna essere assunti da qualcuno. La vita umana è molto più interessante che fare quello che un altro vuole per te. È più interessante crearsi il proprio sistema, ed è qui che il supporto degli istituti finanziari diventa molto importante, perché permette di diventare creativi, permette che ai migliori talenti di esprimersi realizzando le loro idee anziché essere assunti da qualcuno cui non interessa sapere quanto talento hai e ti chiede cose preordinate. Quando si è giovani è il tempo di intraprendere sfide, crearsi il proprio futuro senza adeguarsi allo schema di qualcun altro perché non penso che la vita degli uomini sia fatta per questo. Ho già detto come attraverso le opportunità messe a disposizione della nostra banca la gente non rischia più di tornare a una situazione di povertà, il che è molto facile in una situazione come quella del Bangladesh. L’importanza dell’istruzione Noi poniamo molta attenzione sulla seconda generazione di queste famiglie. Una delle cose che cerchiamo di promuovere è che i bambini siano mandati a scuola a tempo pieno. Ad oggi abbiamo raggiunto questo obiettivo, e cerchiamo di convincere i genitori a mandare avanti i loro figli fino alla laurea. Ci siamo accorti che molti dei ragazzi delle famiglie dei nostri clienti studiano medicina e ingegneria all’università. Noi pensiamo che questa sia una spinta sempre più forte che viene dal basso. Per questo abbiamo proposto una nuova offerta: i prestiti per la higher education. Se provieni da una famiglia associata con la Grameen Bank hai la sicurezza di avere i mezzi per poter frequentare le scuole superiori e l’università. Attualmente la Grameen dà 3mila borse di studio per incoraggiare i giovani non solo ad andare a scuola ma a essere i migliori. Vogliamo fa sì che questi ragazzi che vengono dalle famiglie più povere del Paese arrivino al massimo. La metà delle borse di studio poi devono andare alle ragazze, così che anche loro capiscano che possono arrivare al massimo. Questo permette di liberarli dallo schema per cui visto che sono poveri sono anche stupidi. È una mentalità che si crea. La povertà è un oggetto multidimensionale e quindi occorre fare i conti con tutti questi aspetti.


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