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Mattoni verdi

Il 29 maggio a Roma verrà consegnato il Nobel per l'architettura a Glenn Murcutt, il più grande architetto ecologista del nostro tempo.

di Giuseppe Frangi

Glenn Murcutt è decisamente un architetto contromano. Mentre i suoi colleghi vivono in aereo, seguono cantieri in ogni angolo del mondo, cercano le commesse più visibili e spettacolari, lui se ne sta nel suo cantuccio australiano. Non ha studio, non disegna con il computer, non ha nemmeno telefono cellulare. Il suo edificio più grande non supera gli 800 metri quadrati e non va oltre i due piani. E non ha mai costruito nulla fuori dal suo paese. Insomma è il prototipo dell?architetto anti global. Deve essere però davvero un grande architetto se, nonostante tutti questi vincoli, è stato proclamato vincitore del premio Pritzker, un vero e proprio Nobel assegnato ogni anno dalla Hyatt Foundation (quest?anno la consegna avverrà a Roma, al palazzo del Campidoglio). Classe 1936, Murcutt ha un grande debito di riconoscenza verso suo padre, cercatore d?oro in Nuova Guinea e fissato sull?idea di avere un figlio architetto. Con lui il piccolo Glenn si divertiva a costruire barche, prendendo quella confidenza con i materiali naturali che sono la caratteristica fondamentale della sua architettura. Murcutt infatti è un eco-architetto, nel senso intergale del termine. La sua filosofia del costruire si condensa in una massima della cultura aborigena: «Tocca la terra con leggerezza». Lui addirittura la sfiora, perché gran parte delle sue case, per scelta funzionale, oltre che estetica stanno sollevate dal terreno, vogliono essere le più discrete possibile, per inserirsi con la massima naturalezza nel paesaggio intorno. Potrebbe dire sì ai grandi committenti che bussano alla sua porta. Ma Murcutt è ancorato a una certezza: «Oggi tutti dicono che le culture di tutto il mondo sono sempre più uguali. Io invece dico di no. E che per capire una terra bisogna viverci. Io ho vissuto qui, in Australia, e quindi mi sento in grado di costruire qui case che rispettino la cultura e la natura. Fuori di qui imbroglierei me stesso e i miei committenti?. Murcutt poi ha un?altra regola: accetta solo incarichi su cui possa esercitare un controllo completo. Una volta arrivò addirittura a ricomperare una casa da un suo cliente per riparare alle alterazioni che vi erano state apportate. Quando inizia un lavoro, fa un?indagine minuziosa sul luogo, sul clima, sulla natura. Il progetto così cresce cercando un?integrazione sempre più completa con il contesto. Sino ad arrivare all?ideale di sparire dentro il contesto, di esserci senza minimamente interferire: L?ideale è quello che mi ha insegnato mio padre. Nella vita la maggior parte di noi fa cose ordinarie. La regola più importante allora è fare estremamente bene queste cose ordinarie. Così bene che nessuno le noti. Ma se questa può sembrare filosofia, Murcutt in realtà ha una perizia tecnica straordinaria. Conosce alla perfezione le reazioni di tutti i materiali, ne sa sfruttare in pieno le potenzialità. Usa legno, vetro, acciaio, alluminio ondulato, pietra. I tetti si allungano leggeri per resistere alla forza del vento e per addatarsi meglio all?orizzontalità del paesaggio. Giochi di feritoie aiutano al mantenimento del clima, ed evitano la dispersione di energia. Murcutt, naturalmente, detesta l?aria condizionata. Anzi la ritiene inutile. Spiega: Le case devono essere pensate come vestiti. Quando c?è caldo noi ce li togliamo. Quando c?è freddo ce li mettiamo. In una casa noi possiamo comportarci allo stesso modo, togliendo o inserendo qualche elemento, chiudendo o aprendo come se ci togliessimo o ci mettessimo un maglione. Come riesce Murcutt a ottenere questi risultati? Le sue case hanno pareti a più strati, che scorrono su binari, che si aprono e si chiudono a seconda delle necessità. «Costruisco case che possano respirare. E le dispongo in modo che massimizzino l?energia del sole, sull?asse est ovest, così mi è facile d?inverno sfruttare tutto il calore e d?estate arginarlo». Con queste premesse Murcutt non è mai riusciti a realizzare progetti in realtà urbane. «Ma non pensiate che non ne abbia realizzate perché l?ambiente non lo permetta. No, sono state sempre le difficoltà burocratiche a bloccarmi». Poi accenna a un altro ostacolo: «è la disperazione quieta che viene ormai accettata dalla gran massa degli individui. Questa disperazione produce rassegnazione, incapacità a desiderare altre dimensioni del vivere quotidiano. Io non voglio questa rassegnazione. Per questo cerco sempre la positività della realtà». E non ha dubbi sul fatto che la realtà sia positiva. Sentiamolo: Quando ero in università il professore di costruzioni ci chiese di studiare la ragione per cui i bambù stavano ritti. Li abbiamo sezionati e indagati. Alla fine lui ci ha fatto capire che arte, architettura e ingegneria alla fine devono solo adottare i principi della natura. Da allora, come architetto, considero la natura la mia migliore alleata.


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