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Sanità & Ricerca

Aids: per Cassazione pensione a chi contrae Hiv

La Cassazione sancisce il diritto delle persone che si sono ammalate di Aids a ricevere la pensione di invalidita' dall'Inps. Le reazioni

di Paul Ricard

La Cassazione sancisce il diritto delle persone che si sono ammalate di Aids a ricevere la pensione di invalidita’ dall’Inps, anche se tollerano bene le cure antivirali che vengono loro praticate e non presentano manifestazioni cliniche da immunodeficienza pur essendo nella fase avanzata dell’infezione Hiv. Infatti i Supremi giudici (sentenza 9960) hanno accolto il ricorso di una donna fiorentina di 35 anni, Patrizia A., che aveva chiesto la pensione di invalidita’ avendo contratto l’Aids. Sia in primo che in secondo grado, prima il pretore e poi il tribunale di Firenze, le avevano negato la possibilita’ di percepire dall’Inps l’assegno mensile sostenendo che non vi era riduzione della capacita’ lavorativa, nonostante la quotidiana assunzione di farmaci, ne’ vi era traccia del rischio di ”collasso psichico di rilevante entita”’ collegato alla consapevolezza della gravita’ del virus che conduce alla morte. Ma la Suprema Corte ha accolto il reclamo di Patrizia contro il no alla pensione pronunciato dai giudici di merito, affermando che ”la tolleranza alle cure antivirali non e’ idonea ad escludere l’esistenza di effetti della grave affezione incidenti sulla capacita’ lavorativa”. In sostanza, secondo i giudici di Piazza Cavour, il fatto che una persona colpita dall’Aids tolleri e ben reagisca alle cure non puo’ pregiudicare il suo diritto a ricevere l’indennita’ pensionistica. Aggiunge inoltre la Suprema Corte che e’ ”sommaria” la negazione – nei confronti di chi ha contratto il virus dell’Hiv – della ”cosiddetta invalidita’ etica, ossia di quella patologia psichica che generalmente comporta la consapevolezza di essere affetto da malattia con prognosi letale”. Dunque, ad avviso dei magistrati di legittimita’, quando l’Inps valuta le richieste di pensione di invalidita’ avanzate da persone sieropositive deve valutare attentamente l’impatto psichico che questa malattia, l’Aids, produce su chi sa di esserne stato contagiato. Una sentenza giusta e appropriata per questo caso, ma non valida in generale per tutti i pazienti sieropositivi. Soprattutto perchh il progresso della scienza va verso un futuro con cure sempre piu’ tollerabili ed efficaci a lungo termine, quindi meno ‘pesanti’ per il fisico e la psiche dei malati. A commentare la sentenza della Cassazione che ha riconosciuto l’invalidita’ etica per una donna in cura per un’infezione da Hiv in fase avanzata, e’ il virologo italiano Stefano Vella, presidente dell’International Aids Society, dalla Conferenza Mondiale dell’Aids di Barcellona. ”Si tratta sicuramente di una sentenza giusta, -dice all’Adnkronos Salute- perche’ riguarda una persona con Hiv avanzato e che risponde bene alle cure che oggi sono ancora difficili da seguire. Nonostante quindi una risposta positiva, la donna e’ passata attraverso una fase avanzata della malattia, con tutto il disagio fisico, e sicuramente psicologico, che cir comporta. Oggi infatti le terapie disponibili sono ancora pesanti, ma una sentenza del genere non puo’ essere generalizzata a tutti, ed e’ destinata a cambiare in futuro quando i farmaci saranno piu’ tollerabili e offriranno maggiori certezze sulla loro efficacia a lungo termine”. Un riconoscimento giusto e doveroso per un Paese civile. Cosi’ Mauro Trevisson, legale dell’Associazione politrasfusi italiani, commenta il via libera della Cassazione al riconoscimento dell’indennizzo per l’infezione da Hiv. ”L’intervento della Cassazione – sottolinea il legale all’Adnkronos Salute – e’ l’ennesimo riconoscimento della civilta’ giuridica di questo Paese”. Plaudendo alla decisione, Trevisson tiene ad aggiungere comunque come ”non si possa dire altrettanto nel caso di alcune istituzioni, rimaste ad oggi latitanti nel processo di Trento sullo scandalo del sangue infetto”.


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