Sostenibilità sociale e ambientale

Equo. Un outsider di gran lusso

Tassi di crescita che vanno dal 50 al 100 per cento. Diffusione e notorietà in rapida crescita. Consumatori sempre più consapevoli e fedeli (di Ida Cappiello e Carmen Morrone).

di Ida Cappiello

Un gran botto ha svegliato di soprassalto il mondo del commercio equo e solidale italiano: sono esplose le vendite. Statistiche ufficiali non ce ne sono, ma le principali centrali di importazione del commercio equo riferiscono di incrementi di vendita spettacolari: il 50% per Ctm, quasi il 100% per Commercio Alternativo. Transfair, l?ente certificatore nato nel 1996 per diffondere i prodotti del commercio equo nella grande distribuzione, ha visto il fatturato crescere del 30%, segno evidente che i supermercati cominciano a fare sul serio in questo mercato piccolo (approssimativamente, intorno ai 50 milioni di euro), ma carico di valenze di immagine in tempi di responsabilità sociale superstar. Tagliando, in molti casi, il cordone ombelicale con le organizzazioni storiche del commercio e trovando da soli i canali di approvvigionamento. Dialettica interna Quasi ugualmente spettacolare è il boom di notorietà. Secondo una ricerca dell?istituto Doxa, condotta su un campione di oltre 5mila persone, da gennaio a novembre 2002 il numero di italiani che conoscono il settore è aumentato di quattro punti, arrivando al 23%. È raddoppiato, inoltre, il numero di persone che lo identificano come una forma di commercio non speculativa con i Paesi poveri (una delle definizioni più vicine alla realtà tra quelle proposte agli intervistati). Infine, cominciano, sia pur timidamente, ad affacciarsi al mercato figure di outsider: un esempio per tutti è la veneta Goppion Caffè, che ha inserito nella gamma di prodotti una linea solidale con il marchio Transfair. Ma quali interrogativi pone ai ?soci fondatori?, Botteghe del mondo e cooperative, il salto dei consumi, e il conseguente apparire sulla scena di operatori non ?garantiti? dal punto di vista dei valori? Il problema non è soddisfare la domanda che cresce, e nemmeno difendere la sopravvivenza dei negozi storici da pericolosi concorrenti. Le potenzialità dell?offerta nel Sud del mondo, infatti, sono elevate, tanto che quasi tutte le organizzazioni di produttori sono costrette a vendere ancora buona parte dei prodotti sul mercato libero. La grande distribuzione, poi, non ha tolto spazio alle botteghe, che continuano a crescere in numero e giro d?affari: evidentemente c?è spazio per entrambi. La questione aperta è, invece, la coabitazione nello stesso mercato di due approcci diversi: il primo considera il commercio equo uno strumento di cooperazione allo sviluppo, il secondo un?opportunità di crescita per le imprese del mondo industrializzato, sia pure con la coscienza pulita. La dialettica tra le organizzazioni di commercio equo e Transfair, specchio della contrapposizione di valori rilanciata da padre Zanotelli, continua attraverso nuove mosse strategiche. Transfair Italia sta puntando tutte le sue energie in una campagna di immagine che definisca una volta per tutte il suo ruolo nel mercato, a volte interpretato in modo ambiguo. È recente l?approvazione del nuovo marchio internazionale, Fairtrade, presentato ufficialmente proprio al Sana, insieme alla campagna pubblicitaria di lancio. Fairtrade sarà comune a tutti gli enti certificatori del mondo soci di Flo (Fairtrade Labelling Organisation). “Molti consumatori non sanno che il nostro è un marchio di certificazione, non di produzione o di vendita”, spiega la responsabile comunicazione di Transfair Italia, Benedetta Frare. “La differenza non è formale. Noi siamo indipendenti, e la nostra certificazione dà la possibilità a nuovi operatori di entrare nel circuito, allargando l?accesso ai prodotti nell?interesse di tutti. Ormai sono più di 20 le catene di supermercati nostre partner, e cominciamo a essere contattati da imprese industriali, ma abbiamo anche negozi indipendenti, caffetterie, e le stesse Botteghe del mondo”. Nessuna contrapposizione con l?avanguardia storica del commercio equo, si legge tra le righe. Però forse non è un caso se nel maggio scorso le organizzazioni storiche hanno trasformato in associazione la loro assemblea generale, un coordinamento informale nato alla fine degli anni 90. Obiettivo, contare di più, anche a livello politico. L?associazione dei pionieri “Non vogliamo contrapporci a nessuno, ma soltanto ribadire la nostra identità, le nostre radici”, spiega Emilio Novati di Equomercato, che ha seguito da vicino la nascita dell?associazione. “Le botteghe e le cooperative sono nate in molti casi dal mondo del volontariato, hanno alle spalle una storia di impegno concreto per la promozione sociale ed economica dei Paesi poveri. Adesso sul mercato stanno arrivando nuovi attori profit, che diffondono i prodotti, ma sono mossi da logiche un po? diverse, di immagine nel migliore dei casi. Vorremmo far capire alla gente questa differenza. L?idea allo studio è un marchio di garanzia di filiera per i nostri prodotti”. Il primo passo in questo senso sarà la costituzione del Registro italiano delle organizzazioni di commercio equo e solidale (Rioces), che ha l?obiettivo di individuare standard operativi concreti e verificabili ai quali legare il marchio. L?associazione sarà un punto di riferimento comune, anche per svolgere un?attività di lobbying non polverizzata, indispensabile per ottenere un riconoscimento anche giuridico.

Ida Cappiello e Carmen Morrone


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