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Intervista a don Mario Picchi. Se io fossi Fini… ecco cosa farei

Droga. Il fondatore del Ceis rompe il silenzio e dice la sua sulla nuova legge. E ammonisce: "Aiutate scuola e famiglie".

di Stefano Arduini

Prima, l?allarme pasticca lanciato dall?Onu durante la quinta Conferenza mondiale per bocca del direttore esecutivo Antonio Maria Costa, secondo il quale il consumo di ecstasy è cresciuto del 70% negli ultimi cinque anni; quindi, la risposta di Fini che al triplice grido di “prevenzione, recupero e repressione” ha sancito “la tolleranza zero su tutte le droghe”; infine, il pronunciamento del Consiglio superiore di sanità che ha tolto alla cannabis l?etichetta di ?droga leggera? in quanto “genera dipendenza”. Tre micce che hanno riacceso la polemica sulle droghe. Fra tante voci già sentite, questa volta ha voluto dir la sua anche don Mario Picchi, uomo riservato e allergico alla rissa, ma anche uno dei più agguerriti e storici nemici delle tossicodipendenze: dagli anni 60 è in prima linea con il suo Centro italiano di solidarietà di Roma (Ceis). Vita: Le droghe sono tutte uguali? Mario Picchi: Naturalmente no. Sono, però, contrario alla distinzione tra pesanti e leggere. Un tredicenne che ripone nella marijuana la speranza di risolvere le sue angosce può essere una persona ancor più in difficoltà di un 40enne che sniffa cocaina per divertimento. Contano le persone, non le tabelle. Vita: Lei sostiene che il silenzio sulla droga uccide. Dovrebbe essere soddisfatto delle discussioni di questi giorni… Picchi: Sì, ma dobbiamo calibrare il tiro: le questioni cruciali non sono la punibilità e la legalizzazione. Dobbiamo tornare a discutere della persona che si droga o che si trova di fronte a una droga e deve fare una scelta. Dobbiamo parlare di prevenzione. Fondamentale è il coinvolgimento delle associazioni e del volontariato. Vita: è giusto punire il consumo? Picchi: è necessario ragionare senza pregiudizi. Lo stato di chi ha consumato droga è incompatibile, per esempio, con la guida. In nessun caso, comunque, stiamo parlando di criminali. Non possiamo permetterci di criminalizzare. Vita: Si sieda al posto di Fini. Che cosa farebbe? Picchi: Primo scalino: aiutare le famiglie e gli insegnanti con più spazio per la loro autonomia e creatività. Sosterrei le loro motivazioni anche con forti incentivi economici, perché combattere tutti i giorni in prima linea con le frustrazioni, le ansie, i desideri, le speranza di milioni di giovani non è come archiviare dati in un computer o aprire e chiudere pratiche in un ministero. Poi penserei agli operatori del sociale e del sanitario. Quindi aprirei spazi di aggregazione per i giovani, pensando allo sport, alle espressioni artistiche, al volontariato. Vita: Senza punire nessuno? Picchi: Mi preoccuperei di punire quei medici e professionisti che spingono gli atleti a doparsi. Di boicottare quei personaggi che istigano alla violenza e all?uso di droghe. Vorrei rimuovere certi insegnanti demotivati e incapaci, che per fortuna non sono la maggioranza, ma che fanno più male che bene. Vorrei che i giovani vedessero che chiunque ruba, corrompe, baratta favori mandando avanti gli amici e stroncando le carriere degli altri, fosse condannato. Magari a pene sociali più che detentive. Vita: Come nasce il bisogno di ?farsi?? Picchi: Un ragazzo trova difficile dire di no alla droga se nel suo futuro vede solo guerre ?preventive?. Ma rifiuterà difficilmente la droga anche se vede solo concorsi truccati dove non potrà mai emergere senza raccomandazioni. Vita: Il panorama delle droghe è in continua evoluzione. Le comunità sono pronte ad affrontare le nuove emergenze come quella delle sostanze sintetiche? Picchi: Certo, ma da sole non bastano. Bisognerebbe moltiplicare i servizi leggeri, dove i giovanissimi possano trovare un consiglio, un operatore, un gruppo di riferimento, senza dover condividere la stanza con persone eroinomani con altri problemi. Vita: Nel disegno di legge si parla di maggiore autonomia del privato sociale rispetto ai Sert. Un successo per voi? Picchi: Nessuno canti vittoria: la collaborazione tra pubblico e volontariato deve migliorare, perché ognuno ha competenze diverse e complementari.


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