Famiglia & Minori

Iraq, missione di pace i miei giorni da scudo

Italiani a bagdad per difendere, con la loro presenza, i potenziali obiettivi civili dell’intervento, ma il rapporto con il regime è problematico.Il racconto di chi c’era.

di Maurizio Pagliassotti

Per un giornalista non del ?main stream? andare in Iraq a lavorare è inimmaginabile. I big boss, gli inviati di lusso dell?informazione spendono circa 400 dollari a persona, al giorno. Come fare? Missione italiana di pace organizzata da un imam torinese: sette giorni in Iraq, costo 395 euro tutto compreso. Ecco la soluzione. Tutti tifiamo per la pace e i giornalisti ancora di più se viene loro offerto di andare in Iraq con quattro spiccioli. In calce al volantino pubblicitario c?è scritto che l?intero costo del soggiorno è a carico del governo iracheno. Molte persone aderiscono, ognuno con le proprie nobilissime motivazioni. Arrivati a Bagdad si scoprono due cose. La prima: nella hall dell?albergo un inquietante cartello recita «Welcome to human shield», benvenuto agli scudi umani. Il direttore dell?albergo avvicina un italiano: «Siete gli scudi umani italiani?». Risposta: «No. Noi siamo una missione di pace». Replica: «Appunto, voi siete gli scudi umani italiani», tronca mr. Baghdadi togliendo ogni speranza. Si paga solo l?aereo La seconda è che queste missioni di pace sono internazionali e lo schema è fisso. Si paga solo il biglietto aereo, il soggiorno è gratuito e si è ospiti dell?associazione Amicizia, solidarietà e fratellanza di Bagdad.Un gruppo arrivato dalla Germania lo stesso giorno è la fotocopia di quello italiano. Si parte come pacifisti e si scopre di essere qualcosa d?altro. Ormai si è in Iraq e non si torna più indietro. Ovviamente anche i promotori italiani sono colti di sorpresa. Subito arriva la stampa e inizia il fuoco di fila delle dichiarazioni. Ognuno dice la sua, sottolineando come non si sia scudi umani ma forza di pace. I giornalisti annuiscono, consapevoli che il giorno successivo gli articoli usciranno in arabo. Passa il tempo e si iniziano a conoscere i nuovi colleghi scudi. Questi però devono essere quelli seri, organizzati, compatti, con il vestiario recante il logo degli ?human shield? che li rende ben riconoscibili. Anch?essi vengono da tutto il mondo, sono reduci da altre missioni (Serbia, Iraq 98, Afghanistan) e si fermeranno per un tempo limitato, solitamente due settimane. Anche per loro vale il discorso fatto precedentemente riguardo i costi da sostenere. Questo secondo gruppo ha funzione mediatica; serve a propagandare in tempi non belligeranti l?immagine degli scudi umani nel mondo, la filosofia e le ragioni correlate. Terzo e ultimo gruppo sono gli scudi duri e puri. Nessuno li conosce, non si fanno vedere, non sono presenti sulla scena per fare spettacolo davanti alle telecamere. Loro andranno sui ponti, nei centri di depurazione dell?acqua, nelle fabbriche di derrate alimentari, nelle centrali elettriche, ovunque vi siano obiettivi civili da difendere. Estranei a Saddam Tutti i gruppi si dichiarano totalmente estranei al regime e si schierano in difesa del popolo iracheno. A tutti Saddam Hussein offre la cittadinanza irachena, lo stesso lavoro che avevano nel loro Paese e altri benefit. Parlando con un italiano, un famoso pediatra triestino (vedi box sotto), risulta evidente che non esiste alcun dubbio che queste persone faranno quanto dicono. Molto si è parlato in questi giorni sulla stampa degli scudi. Da una parte, le deliranti esternazioni di Donald Rumsfeld sulla loro possibile incriminazione come criminali di guerra a conflitto ultimato. Dall?altra, la polemica sul sostegno che questi uomini e donne danno al governo dispotico di Saddam. Le prime non sono nemmeno da commentare. Le seconde invece necessitano di un maggiore approfondimento. Indubbiamente la propaganda governativa strumentalizza abbondantemente: internamente gli scudi vengono spacciati come sostenitori del governo e nemici giurati degli Usa. Inoltre quello che accadrà durante la guerra rimane per tutti un mistero. La distinzione tra obiettivi civili e militari sarà una linea sottilissima che sicuramente verrà travisata sia dagli iracheni che dagli americani o chi per essi. Risulta difficile immaginare che singoli uomini che hanno autonomamente scelto di morire in Iraq possono opporsi a eventuali scelte che verranno fatte per loro dai comandi militari iracheni. La dittatura ha il terrore di perdere il potere e sicuramente utilizzerà tutte le armi che avrà a disposizione. Ipotetico è anche il pensiero che i caccia americani possano avere qualche scrupolo verso chi ha scelto di legarsi a un ponte. In tempo di non guerra invece le cose sono decisamente più semplici e rilassate. Chi era arrivato come semplice pacifista, galvanizzato dall?accoglienza e dalla cordialità del popolo meno bellicoso del mondo, accetterà la proposta, successivamente formalizzata, di essere scudo umano per una notte. Difendere la centrale Venerdì 21 febbraio ore 21, partenza. Il tutto assomiglia un po? a un?avventura fuori dal comune, con telecamere dei maggiori media mondiali a intervistare impauriti avvocati, giornalisti squattrinati, librai, casalinghe trasformatisi nell?avanguardia del movimento pacifista. Le dichiarazioni ai media sono tutte moderate. Moltissimi dicono chiaramente che quello che stanno compiendo è solo un gesto simbolico contro la guerra al popolo iracheno. Nessuno sostiene che sia pronto a morire. Escono le tv e si rimane dentro l?edificio da difendere, nel nostro caso un centro di depurazione dell?acqua fuori Bagdad. Saltano fuori gli spaghetti sotto l?occhio vigile del ritratto di Saddam. La notte passa tra partite a scacchi, discorsi filosofici sulla guerra e foto ricordo. Un ragazzo domanda a un militare iracheno se il centro fosse stato bombardato nel 91. «Completamente demolito», arriva la risposta raggelante. Pazzi incoscienti o nuovi eroi? Impossibile rispondere. Un giudizio tranciante, qualunque esso sia, sarebbe però privo di fondamento morale. Maurizio Pagliassotti


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