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A Bologna la fiera del biologico. Bio è uno anzi, trino

L’agricoltura naturale ha smesso di crescere. E al Sana di Bologna si è discusso sulle contromisure da prendere. Al centro c’è la questione della rappresentanza.

di Ida Cappiello

Riuscirà la crisi del biologico a realizzare il progetto, finora incompiuto, di costruire una casa comune per contare di più sul mercato e nella politica? Se lo sono chiesti in tanti il 9 settembre, data di apertura di Sana 2004, all?incontro organizzato dalla Fiao, la Federazione italiana agricoltura organica, che si è candidata a dare rappresentanza unitaria a tutto il settore, superando le divisioni interne e proponendosi come interlocutore compatto e forte ai prossimi appuntamenti con il potere politico: il Piano d?azione nazionale per il biologico, atteso proprio per metà settembre, e la rinnovata Commissione europea. La sfida Fiao è quasi una provocazione, vista la predominanza al suo interno degli enti certificatori, di fatto dei controllori in qualche modo antagonisti rispetto a chi produce. Su di loro – parte più ricca e più visibile nella galassia del naturale – pende già l?accusa di monopolizzare la rappresentanza di fronte al governo. Una lettera aperta Ma il segretario generale, Paolo Carnemolla, promette una rifondazione totale: «Il nuovo statuto che proponiamo darà rappresentanza equivalente a tutte le categorie di stakeholder del biologico, eliminando l?attuale centralità degli organismi di controllo. L?idea è quella di un insieme di sezioni distinte per tipologia professionale, largamente autonome nelle decisioni ed eventualmente anche decentrate sul territorio. Siamo disposti a ripartire da zero pur di raggiungere un?intesa ampia». La prima replica all?iniziativa di Fiao è stata una lettera aperta firmata da tre realtà storiche del biologico italiano: Aiab, Amab (presieduta da Gino Girolomoni, fondatore di Alce Nero) e Anagribio, sezione di Coldiretti. Un?alleanza che vuole essere anche una risposta a chi accusa le grandi organizzazioni agricole di voler fare da sole, sfruttando il potere dei numeri, ma in realtà mettendo il prodotto biologico ai margini delle priorità. Dice, tra l?altro, la lettera: «La questione dell?unità è sentita da molti? ma unità non vuol dire uniformità, perché il settore esprime interessi diversi e talvolta contrapposti. Fiao, prima di proporsi come soggetto unitario, decida il suo ruolo, si proponga ai tanti organismi di controllo che ne sono fuori. Solo dalla chiarezza degli interessi che si rappresentano possono nascere momenti di iniziativa comune». La difficoltà a dialogare è evidente, ma non è un fatto di oggi: guardando indietro nel tempo troviamo tante occasioni perdute. Ne sono un esempio il fallimento del Tavolo Bio nel 2003 o lo scioglimento del Coordinamento nazionale Ifoam (la federazione mondiale del settore) pochi mesi dopo. Mentre gli addetti ai lavori litigano, si allontana l?obiettivo di risalire una china pericolosamente in discesa già da due anni (7mila operatori in meno nel 2003, 12mila rispetto al 2001). Una crisi che non è tanto della domanda – i consumi crescono ancora, sia pure a ritmo rallentato – quanto dell?offerta italiana, che arretra di fronte a un?ondata di importazioni difficile da quantificare, ma sicuramente travolgente per tante imprese troppo piccole e troppo poco organizzate per essere competitive. Il male ?politico? del frazionismo indebolisce gli operatori anche economicamente, di fronte a un sistema distributivo che si prende oltre la metà del valore aggiunto di prodotto, schiacciando i profitti a monte della filiera e spingendo in alto il prezzo finale, a danno del consumatore. A questo punto sorge una domanda: com?è possibile che persone accomunate da una visione economica sostenibile, alternativa al modello tradizionale di sviluppo capitalistico, siano così gelose di un?individualità che non porta da nessuna parte? La seconda generazione Impietosa l?analisi di Roberto Pinton, coordinatore del portale verde Greenplanet e profondo conoscitore del mondo bio. «È proprio l?ideologia che si è messa di mezzo. I fondatori del biologico si sentivano più militanti dell?anticapitalismo che imprenditori. Questo ha prodotto una classe dirigente in gran parte inadeguata e autoreferenziale, malata di protagonismo e di personalismo, incapace di affrontare le esigenze emerse dalla crescita del mercato. Mi auguro che questa volta la voglia di uscire dalla crisi convinca tutti a fare un passo indietro, in nome dell?interesse comune». Il riscatto del biologico è affidato alla seconda generazione di bioimprenditori che, nonostante tutto, riescono a esprimere nel loro lavoro una visione strategica e organizzativa forte, come hanno fatto i protagonisti delle due storie che raccontiamo.


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