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Economia & Impresa sociale 

Siamo le sentinelle del bene comune

Oggi si fa persino fatica a individuarlo.Spesso viene tristemente identificato con ciò che è funzione pubblica.La cooperazione sociale ha riaperto la questione.

di Johnny Dotti

Nell?ormai prossima convention Cgm di Montecatini, il mio intervento di apertura si intitolerà Abitare luoghi di bene comune. Ma cos?è il bene comune nella modernità? Tra le mille contraddizioni e i molti flussi, è possibile proporsi ed essere effettivamente agenti di bene comune? Facciamo persino fatica a individuarlo. Il bene comune non è scontato, come non è condivisa la constatazione che monetizzare i rapporti vuol dire non saper più riconoscere il bene comune, spesso – tristemente – identificato con ciò che è amministrazione e funzione pubblica. Vorrei partire da una prospettiva diversa: il bene comune è un?esperienza che sta dentro ogni persona. Non abbiamo bisogno di grandi spiegazioni per capire che l?aria o l?acqua sono beni comuni. Ne facciamo esperienza. Oggi occorre alimentare questa consapevolezza. Anche l?acqua può essere monetizzata, anzi lo è. In alcuni luoghi è strumento di potere. Da noi se ne parla meno, ma non sono sicuro che il controllo dell?acqua non comporti un ?governo? del territorio. Specie là dove l?acqua non è scontata, come in Sicilia. Non perché non ce ne sia, ma perché se ne controlla la distribuzione. Qualcosa di analogo potremmo dire per l?aria. In Giappone, nelle stazioni metropolitane c?è chi vende sacchetti di aria grazie ai quali i viaggiatori arrivano più agevolmente a destinazione. Nella ressa dei vagoni, e nella follia di questa modernità, l?aria non è un bene comune. Fra i beni comuni, ovviamente, colloco anche le relazioni che non possono essere ridotte a servizio a pagamento. Come la cultura. Non escludo che si possa monetizzare anche quella: un libro, un disco non possono essere gratuiti. Tuttavia devono essere monitorati, tenuti sotto controllo. Perché siano realmente fruibili. Per questo è necessario occuparsi dell?economia. Perché in questo modo la si tiene sotto controllo. È questo forse lo sforzo principale delle cooperative sociali: trattano l?economia sapendo che alcune cose l?economia non le deve trattare. Il volontariato dentro le cooperative è indicatore che questa consapevolezza esiste. Possiamo arrivare a conclusioni analoghe con fenomeni più individuali. Lo psicoterapeuta è importante per chi vive un disagio, ma la vita di questa persona può concentrarsi solo su questo rapporto? O è necessario che trovi risposte alle difficoltà anche all?interno della collettività? Per chi ha un disagio, sono importanti il padre, l?amico, il fratello, il vicino di casa? Certo che sì. Sono relazioni monetizzabili? Certo che no. Può sembrare un paradosso, ma le imprese sociali trattano beni relazionali, cioè comuni, e dunque affrontano l?economia, ma non per trasformare i beni relazionali in economia, piuttosto perché questi beni continuino a valere per sé. Tant?è che le imprese sociali hanno come punto di tenuta la consapevolezza che i loro veri proprietari sono i territori. Da ogni punto di vista – organizzativo, manageriale e operativo – la tensione è continua perché i territori si sentano e siano gli stakeholder delle imprese sociali. Non tutto dipende dalle imprese sociali. Voglio fare un esempio, raccontando di una persona che conosco. Lo chiamerò Vittorio. Vittorio ha una pensione di invalidità per problemi seri di natura psichiatrica che però ogni tanto non gli impediscono di lavorare. Attraverso il lavoro Vittorio si inserisce nel tessuto collettivo, si riappropria di diritti che non conosceva più. Quando lavora, però, lo Stato gli sospende l?assistenza, stabilendo un?equazione che io trovo pericolosa: se hai la pensione, hai diritto all?assistenza; se lavori no. Se facciamo un conto economico però ci rendiamo conto che lavorando Vittorio contribuisce anche alla sua assistenza. Contribuisce, non sostiene interamente. Se non lavora, Vittorio è interamente a carico dello Stato. Mi chiedo: non è possibile pensare a forme di flessibilità che consentano all?individuo di non essere un ?peso? e allo Stato di tenere sotto controllo (confrontarsi con) l?economia? Non si può continuare a ragionare con gli aut aut: o lavori o sei totalmente dipendente dalla pubblica assistenza. Certo occorre aggiornare l?idea che abbiamo dello Stato, la percezione del peso dell?individuo e delle sue iniziative. Occorre immaginarsi che il libero mercato non sia solo un rullo compressore. Può essere libero in altro modo, questo ?libero? mercato? È stato detto che la fotografia, quando fu inventata, liberava la pittura dalla necessità di riprodurre fedelmente le cose. Io credo che lo stesso abbiano fatto le cooperative sociali, il terzo settore in generale: hanno contribuito a restituire allo Stato la sua vera vocazione. Che appunto è di contribuire al bene comune, non determinandolo a priori, ma favorendo le condizioni perché sia davvero tale. Anche se qualcuno cerca di metterla in discussione, la responsabilità sociale d?impresa sta cominciando – sia pure non senza ambiguità – a farsi strada. Una parte del mondo produttivo inizia a interrogarsi sui temi della solidarietà e dell?equità. D?altro lato anche il terzo settore e le cooperative sociali stanno iniziando a fare esperienza di partnership con realtà profit, individuando così un terreno nel quale fare sperimentazioni in vista del bene comune. In particolare Cgm con le proposte che porta avanti e con le novità che saranno annunciate alla convention di Montecatini, sta impegnandosi in modo costante in questa direzione, che favorisce e privilegia l?incontro con l?altro. Di fatto alla base di questi incontri c?è la (implicita?) persuasione che sia opportuno e necessario sostenere la pluralità. Esiste però un portato specifico delle imprese sociali? Noi siamo tra Stato e mercato. Possiamo svolgere il compito di chi ?scardina? le convenzioni, ma dobbiamo continuare a essere anche e soprattutto ?sentinelle? del bene comune. Se nell?impresa sociale non c?è posto per il volontariato, l?impresa sociale tradisce la sua missione. Che viceversa porta avanti se si fa punto di evoluzione e promotrice di volontariato. Uno degli obiettivi della cooperazione sociale è l?inclusione, il contrario di escludere. In cosa includi, però? Se è un semplice includere in una organizzazione, non basta. Noi immaginiamo che quell?organizzazione sia uno strumento per essere inclusi nel territorio, immaginiamo cioè un?organizzazione che è un sistema aperto. Se si chiude, si viene a ricreare l?esclusione. Non ci si deve pensare come un fine, ma come uno strumento. Il discorso andrebbe allargato, per diventare una richiesta di riflessione sulla politica e sull?economia. Ci sono la necessità e l?urgenza di compromettersi con le vicende della storia, ignorandone il finale. Anche questa è la precarietà della modernità. Ventitré anni di storia anni di storia 1982 Brescia Nasce il primo consorzio di solidarietà sociale a Brescia. 1985 La nascita Un gruppo di cooperatori, fra cui Gino Mattarelli, si impegna a promuovere e coordinare la nuova forma di cooperazione che sta nascendo nel Paese. In questo anno si svolge ad Assisi la prima manifestazione nazionale con 150 cooperative di Confcooperative e viene eletto un coordinamento nazionale. 1987 Il consorzio Nasce il Consorzio nazionale della cooperazione sociale Gino Mattarelli, organizzazione di terzo livello che associa consorzi territoriali con estensione provinciale e metropolitana; 5 i soci fondatori, 4 consorzi e una cooperativa. 1988 Formazione Primo percorso per dirigenti Cgm. Ne seguono 30 edizioni per oltre mille cooperatori partecipanti. 1990 La rivista Nasce Impresa sociale, diretta da Felice Scalvini. 1993 I poli La rete cresce e si organizza in Poli territoriali. Cgm struttura un investimento sull?Europa. 1996 Convention Cgm conta 37 soci. A Fiuggi si svolge la prima convention nazionale. 1998 FinanzaNasce Cgm Finance, che poggia sull?esperienza di Sol.co. Finanza prima (dal 1989) e di Cgm Finanza poi (199-1998). 2001 c?è vita I consorzi della rete Cgm salgono a 71. Le società partecipate da Cgm sono una dozzina, fra cui Vita. 2004 Mutue e asili Nascono il consorzio Mestieri, (politiche attive del lavoro), Solidalia (società mutualistica) e Pan, con Banca Intesa e Fis, rete nazionale di servizi per bambini 0-3 anni.


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