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Quando la politica fa le cose giuste

A poco più di un mese dall’approvazione della +Dai -Versi anche la legge sull’impresa sociale è diventata definitivamente realtà.

di Giuseppe Frangi

«Intendendosi come imprese sociali le organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un?attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale» Lunedì 30 maggio è stata un?altra bella giornata per il non profit italiano: a poco più di un mese dall?approvazione della +Dai -Versi anche la legge sull?impresa sociale è diventata definitivamente realtà. C?è più di un?analogia tra un provvedimento e l?altro. Innanzitutto sono nati da iniziative dal basso: una proposta di legge messa su carta da Vita, Forum e Summit della Solidarietà con la consulenza autorevole di Salvo Pettinato, la +Dai -Versi; un?iniziativa di legge popolare, quella sull?impresa sociale. Per una volta la politica si è resa disponibile a lavorare e traghettare proposte venute dalla società civile, e questo ha comportato buone decisioni prese in tempi tutto sommato ragionevoli. Un buon precedente che dimostra come non sia affatto velleitario, da parte della società civile, pensare provvedimenti che migliorino la vita di tutti (quindi rappresenta un invito al pensiero e all?iniziativa). E perché aiuta a non sentire, almeno una volta, la politica come nemica o quanto meno come estranea alla vita reale. Ma queste due leggi sono importanti perché aiutano a disegnare una visione diversa dell?Italia, la sottrae all’ineluttabilità del declino, permettono e legittimano nuovi dinamismi. Il primo fondamento di questo disegno è la libertà: libertà non formale ma reale. Libertà sostanziale di mettersi insieme, di poter trovare risorse senza dover pagare troppi dazi, di fare attività economica sana senza dover seguire le logiche del profitto. Questa libertà in Italia oggettivamente non c?era, perché Stato e mercato non ammettevano di cedere spazi e campi di attività a un soggetto terzo. E perché la politica ha sempre cercato un rapporto ?assistenziale? e insano con il mondo dell?associazionismo, con la pretesa di perpetuare un collateralismo ormai svuotato di ogni ragion d?essere. Il secondo fondamento di questo abbozzo di nuova Italia è nell?idea di bene comune. Un?idea ?perdente? se rapportata ai grandi trend che caratterizzano la nostra epoca: oggi sulle tavole della legge dei comportamenti delle persone, dominano valori come profitto e individualismo. Ma sono valori che hanno abbondantemente fallito: hanno distribuito sogni e hanno raccolto detriti e quel che peggio, anche povertà. Oggi le persone capiscono che le relazioni, i legami sociali sono un bene nel senso pieno del termine: bene ?umano?, ma anche ?economico?. Che venga riconosciuta piena legittimità a una forma di impresa che vede nell?incremento del bene comune la forma più evoluta del profitto, risponde alle spinte più profonde e più vere di questo tempo che viviamo. L?impresa sociale infatti non è solo un provvedimento che finalmente fa emergere a pieno titolo tante realtà economiche già forti, efficienti e moderne. L?impresa sociale è anche una scommessa sul futuro: perché ha un?idea di quale possa essere un futuro del nostro Paese. Ha una capacità di visione, di consenso, di valorizzazione di tutti, di costruzione di una società non effimera, non divoratrice di energie e di risorse.


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