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Famiglia & Minori

Il problema di Lapo non è la droga

La vera questione é lo smarrimento dell'uomo nell'essere gettato nel mondo.

di Riccardo Bonacina

he tristezza le tante reazioni alla triste vicenda di Lapo Elkann, un ragazzo di 28 anni, probabilmente ancora in cerca del proprio io e della propria intima consistenza anche se il suo destino era stato deciso da tempo nei cda Fiat e nei consigli di famiglia. Quanto imbarazzo, ipocrisia nei talk show e sulle pagine dei giornali. Del resto, che possono dire i conduttori in voga, i manager, gli esperti che discettano en passant dell?esistenza altrui, che possono dire se non proclamare la propria innocenza di fronte alle oggettive colpe del mondo adulto e dei modelli ch?essi stessi rappresentano nel momento stesso in cui dispensano qualche inutile ?consiglio?. Che possono dire i Mentana, i Vespa, e i loro ospiti? Se non dare una volta di più i numeri dell?emergenza cocaina, o invocare una maggiore repressione, o proporre il solito strapuntino «sui valori che non ci sono più». Eppure, la questione sul tappeto è chiara a chiunque non voglia nascondersi dietro un dito, giacché è già per tutti questione quotidiana. Negli ultimi dieci anni, con lo stesso dispiegamento di mezzi e di retorica usato per innalzare sull?altare degli eroi chi combatteva la battaglia contro l?eroina, si è resa la questione droga una questione prettamente personale. Come se il fatto che le droghe sintetiche sono assunte da persone integrate fosse, di per sé, una protezione per loro stessi e per la società. Purtroppo non è così. Oggi la droga si è infiltrata in tutte le pieghe della società italiana ed è molto diffusa. Si sta male e si muore. Tra le poche parole sensate affidate alle agenzie di stampa in questi giorni, mi ha colpito una dichiarazione di padre Eligio Gelmini, fondatore di Mondo X, che ha detto: «Giovanni Paolo II ha scritto che il primo problema del drogato non è la droga, ma il suo smarrimento di figlio che cerca il padre. Il nostro compito è mostrare a questi figli persi, il volto tenero e amoroso del Padre. L?Italia è invasa da queste sostanze che abbrutiscono l?uomo. E pensare che Dio ci ha fatto come un prodigio», ha, infine, chiosato. Parole che mi hanno ricordato il dialogo tra Massimo Cacciari e don Antonio Mazzi, cui ho assistito di persona pochi giorni fa. Di fronte ai disagi di don Mazzi che lamentava di come le comunità fossero ormai confinate in uno spazio separato dalla società, Cacciari ribatteva: «Caro don Mazzi, questo nostro mondo non permette più a realtà come le vostre di essere segno di speranza per tutti, simbolo per ciascun uomo della possibilità di rialzarsi dalle cadute. Nel migliore dei casi la vostra è considerata come un?attività al pari delle altre, un mestiere, magari specialistico, ma un mestiere. Questo è un problema, ma non solo per voi, per tutta la nostra società che censura ogni ipotesi di senso e di gratuità». Il problema del drogato non è la droga, suggeriva Giovanni Paolo II, ma il suo smarrimento di figlio che cerca il padre, ovvero il senso del suo essere gettato nel mondo. Ma come è possibile scoprire il senso del proprio essere nel mondo se, come suggerisce Luca Doninelli, «c?è in giro un odio vero per ogni apprendistato, per ogni percorso di conoscenza che sempre implica fatica e sacrificio»? Come è possibile se noi adulti facciamo di tutto per evitare ai nostri figli l?impatto con la realtà per quello che è?


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