Welfare & Lavoro

Psicofarmaci e isolamento, questo è un manicomio

Di sovraffollamento in carcere si parla così spesso, ma quello che si tace è che questo ammassarsi di uomini nelle galere italiane è anche una somma di sofferenze e malattia

di Redazione

Di sovraffollamento in carcere si parla così spesso, che ormai abbiamo perso qualsiasi capacità di scandalizzarci, ma quello che si tace è che questo ammassarsi di uomini nelle galere italiane è anche una somma di sofferenze e malattia, che la detenzione moltiplica, perché la paura e l?ansia di non potersi curare rendono insopportabile la perdita della salute vissuta in condizione di assenza di libertà. Se poi la malattia è nella mente, la vita diventa invivibile per sé, ma anche per tutte le persone che stanno intorno: perché quando si è costretti a una convivenza forzata in spazi ridottissimi, chi vive a un passo da chi sta male è a sua volta a rischio di non reggere, come spiega nella sua testimonianza un detenuto, che ritrova nel carcere di oggi la riproposizione, mascherata, dei vecchi manicomi.

Ornella Favero (ornif@iol.it)

Che il carcere stia diventando un raccoglitore di disagi diversi, ma tutti caratterizzati dalla volontà di esclusione e di segregazione che la nostra società esprime, è ormai un dato di fatto. Parlare di carcere è ormai parlare solo in modo limitato di illegalità e di criminalità, e in modo diffuso di tossicodipendenze, di stranieri, di persone emarginate che per la loro condizione perdono qualsiasi contatto con la società civile. C?è poi un fenomeno sempre più presente nell?ambito della detenzione che è quello del disagio psichico. La realtà è che il carcere, questo carcere sovraffollato, non solo raccoglie le persone che, sofferenti di disagio psichico, non vengono sufficientemente curate dai servizi sanitari, ma mette tanti altri esseri umani, il cui equilibrio mentale è precario, in condizione di esplodere. Di qui realtà di detenzione che assomigliano sempre di più ad ospedali psichiatrici, dove l?azione più incisiva nei confronti di chi soffre è la somministrazione di psicofarmaci associata, invece che a momenti relazionali che aiutino la persona, all?isolamento e all?ozio totale. In carcere chi non è sufficientemente strutturato a resistere si lascia andare all?abulia totale, oppure lancia segnali di sofferenza che in genere si traducono in atti di autolesionismo o suicidi. Questo è uno degli aspetti più drammatici della detenzione oggi, ed è un cane che si morde la coda perché il recludere sempre più persone di questo tipo genera sovraffollamento, che è il primo grande ostacolo che poi si incontra nel momento in cui si cerca di operare per curare le persone. Sono poche in Italia le realtà penitenziarie che si fanno carico del disagio mentale e soprattutto sono quasi inesistenti le occasioni di cura all?esterno attraverso misure alternative alla detenzione. Quante sono queste persone sofferenti che necessitano di cure da somministrare in condizioni diverse dalla detenzione? Sono anche loro sovraffollamento inutile, e infatti basta vedere che dove il Dipartimento di Salute mentale è presente ed interviene dentro le carceri, maggiore è la possibilità di costruire percorsi alternativi al carcere, che abbiano sicuramente più efficacia e che soprattutto evitino nuove forme di segregazione.

Stefano Bentivogli


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