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Comunita’, sulla coca sbagliate pista

J'accuse di Riccardo Gatti: "Non è più un fenomeno di nicchia"

di Redazione

Sente puzza di vecchio, Riccardo Gatti, psichiatra, direttore del dipartimento delle dipendenze della Asl Città di Milano. Vecchia è l?emergenza: negli ultimi 15 anni l?incremento dei consumatori di cocaina, ormai oltre un milione 300mila secondo le stime del Cnca, il Coordinamento nazionale delle comunità terapeutiche, ha segnato una linea tragicamente costante. Vecchie le politiche antidroga, a prescindere dal colore del governo in carica. Vecchio, soprattutto, nel pensiero e nella pratica, anche il sistema di intervento degli operatori. Pubblici o privati che siano. Vita: Partiamo dal concreto. I giornali a ondate cicliche picchiano sul boom della cocaina. L?ultima è la ?scoperta? dei manovali-cocainomani. Quello che non si dice è quale sia la via d?uscita concreta per queste persone. Lei ha qualche idea in proposito? Riccardo Gatti: Per chi oggi è già finito in una situazione di rischio pesante, non c?è più niente da fare. Vita: E le campagne di sensibilizzazione in televisione? Quelle nelle scuole? Gatti: Si spara nel mucchio. Nel migliore dei casi, si buttano soldi e non si fanno danni. I nostri interventi di tipo informativo e divulgativo sulle conseguenze dell?abuso delle sostanze, spesso infatti si trasformano in pubblicità. Sono messaggi che non possiedono alcuna capacità di penetrazione nella coscienza delle persone. Coinvolgono contemporaneamente fasce d?età e classi completamente diverse. Non si considera invece che ognuno di noi è quotidianamente bombardato da input che vanno nella direzione opposta. C?è il servizio giornalistico in cui si dice che i top manager di tutto il mondo tirano. Poi quello sulla top model gnocchissima che si è fatta di cocaina, ma che pochi giorni dopo ne è uscita e adesso fa un mucchio di soldi. E ancora una ricerca scientifica che dice che in fondo non fa poi così male. In questo quadro sfido chiunque ad avere una valutazione cosciente della propria condizione. Vita: Cosa ne pensa dei programmi ad hoc sul recupero da cocaina che diverse comunità stanno predisponendo? Gatti: Creare centri specialistici che cerchino di assistere adeguatamente una determinata tipologia di persone mi sembra uno sforzo apprezzabile. Ma questo non affronta e non risolve il problema della cocaina. Al limite aiuta una persona a risolvere i suoi problemi. E le due cose sono molti diverse da loro. La prevenzione non si può fare dopo. Purtroppo però su questo tema il pensiero nella società e nel mondo degli operatori è rimasto fermo a 30 anni fa. E sa cosa lo dimostra? Vita: Che cosa? Gatti: Oggi c?è Ferrero che dice di voler depenalizzare le droghe leggere. Ieri Fini e Giovanardi invece avevano usato il pugno di ferro anche contro le droghe cosiddette leggere. Destra e sinistra e dietro di loro il mondo degli operatori ci hanno illuso che una legge potesse risolvere il problema. Questa però non è politica, questo è marketing. Di fatto entrambi gli schieramenti sono fermi alla legge 685 del 1975 da cui poi è scaturita, nel 1990, la Vassalli-Jervolino. Il braccio di ferro è sempre lo stesso: se e con quale severità sanzionare il consumo di droghe. Una prospettiva, lo vediamo ogni giorno di più, fallimentare. Vita: Perché non si cambia? Gatti: Mancano idee. Sperimentare, modificare il proprio approccio è faticoso. Vita: Ma non dovrebbero essere proprio gli operatori ad indirizzare la politica nella giusta direzione? Gatti: Ancorarsi alle vecchie certezze è rassicurante per tutti. Anche per noi è più facile circoscrivere il fenomeno in alcune nicchie. Così abbiamo creato un sistema di intervento per i tossici con difficoltà psichiatriche e quello per i tossici con problemi legali, ma queste categorie sono una piccola fetta nel panorama dei consumatori. Come le persone anziane di fronte alla complessità della vita, stiamo restringendo il cerchio del nostro raggio d?azione. Vita: E invece cosa bisognerebbe fare? Gatti: Umberto Veronesi recentemente, a proposito della legge sul fumo, ha dichiarato: «Non proibisce di fumare, ma obbliga a farlo senza che questo gesto rechi danno agli altri». Cercherei di declinare questo principio anche per le droghe, l?alcool e i farmaci. Vita: Come? Gatti: Sino ad ora il fulcro dell?intervento legislativo, ma anche terapeutico, era il tossicodipendente, più che il consumatore di droghe. Consumare droghe senza essere tossicodipendente viene, infatti, considerato un non problema. Ciò che si tenta di prevenire, infatti, è la tossicodipendenza. Ciò che si cura, anche. Vita: Dov?è l?errore? Gatti: Oggi il numero dei consumatori di droghe lecite e illecite è infinitamente più grande di quello dei tossicodipendenti veri e propri. Però tutti si preoccupano solo di chi assume sostanze vietate dalla norma in vigore in quel determinato momento. Nessuno prende in esame una legge che invece di proibire alcune droghe, sanzioni il danno che il consumo provoca agli altri. Non so se sia un approccio proibizionista o antiproibizionista. Ciò di cui sono certo è che se avessi bisogno di un chirurgo, vorrei essere il più possibile sicuro che mi sta operando senza aver tirato di coca o fumato uno spinello appena prima dell?intervento. Lo stesso principio dovrebbe valere per chi guida un autobus e maneggia un?arma. Mi importa poco invece che quella sostanza sia considerata dall?opinione pubblica leggera o pesante.


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