Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Famiglia & Minori

I territori perduti della Repubblica

L'ediotoriale/ Ma le banlieue sono davvero ri-esplose per l’anniversario? A scorrere i titoli dei principali media italiani e stranieri, pare proprio di sì ...

di Joshua Massarenti

A un anno dal 27 ottobre 2005, quando due ragazzi (Zyed e Traoré) di Clichy-sous-Bois, periferia nord di Parigi, morirono fulminati contro una cabina elettrica fuggendo dalla polizia, le banlieue hanno riconquistato le prime pagine. C?era da aspettarselo, un anno fa l?episodio scatenò tre settimane terribili, 10.300 auto bruciate, 4.728 arresti, decine di scuole bruciate. Noi di Vita abbiamo deciso di inviare per dieci giorni nelle banlieue parigine il nostro Joshua Massarenti e lo scrittore Luca Doninelli chiedendo loro di star dentro quelle realtà, guardandole in faccia per provare a capirle e a raccontarle. Per fare un racconto oltre l?anniversario. Un racconto che vi proporremo sul magazine e su Communitas le prossime settimane. (G.F.) Ma le banlieue sono davvero ri-esplose per l?anniversario? A scorrere i titoli dei principali media italiani e stranieri, pare proprio di sì. A ricordarci che il primo anniversario della rivolta delle periferie non sia stato commemorato nel segno della pacificazione, oltre i titoli strillati dei media in tutto il mondo, basta un taglio basso di Le Monde del 31 ottobre: «Due bus incendiati a Marsiglia e a Trappes nella notte di sabato 28 ottobre»; «227 veicoli bruciati tra il 27 e il 28 ottobre»; «scontri tra forze dell?ordine e giovani e 116 arresti in tutta la Francia il 28-29 ottobre». Il caso-banlieue è diventato una tale fonte di angoscia per l?establishment da spingere i mass media d?Oltralpe a interrogarsi sull?opportunità o meno di sbattere in prima pagina scontri e incidenti. Il quesito sembra consistere nel chiedersi se gettare in pasto a lettori e telespettatori scene di violenze collettive per poi lanciarsi in diatribe infinite sul malessere generale delle periferie o sul tema sicurezza ormai caro sia ai politici di destra che di sinistra. Nessuno che provi a guardare in faccia quella violenza, una violenza che va ben al di là di quella raccontata in tv nei giorni dell?anniversario. Nessuno che provi a raccontare il quotidiano e il vissuto di centinaia di migliaia di persone, relegate negli ultimi ranghi della scala sociale, a cui Stato, imprese e sindacati offrono i servizi peggiori (scuola e formazione in primis), i posti di lavoro più sgradevoli, strutture abitative costruite ad hoc sul modello dei ghetti sociali. Il problema è che per imbattersi in questo spessore quotidiano di violenza occorre camminare per Saint-Denis, o per Grigny, per Bagnolet e Franc-Moisin, attraversare La Courneuve, o Aubervilliers, Stains e Bobigny. Quartieri in cui il tasso di disoccupazione giovanile arriva quasi al 30%. E poi bisognerebbe parlare con Karima Abdel e i suoi amici, ragazzi e ragazze cittadini francesi d?origine maghrebina. Ecco allora che la prospettiva cambia radicalmente. Bisognerebbe cominciare a guardare in faccia le banlieue, ovvero i ?luoghi banditi? (lieux bannis), con continuità e, soprattutto, più coraggio, per cominciare a capire quelli che lo storico francese Georges Bensoussan chiama «territori perduti della Repubblica», ovvero quegli spazi (condomini, quartieri, enclave) nei quali vi è una diffusa percezione della perdita di sovranità delle regole civili e delle forme di convivenza. Prestare ascolto per capire come paure e frustrazioni generano violenze collettive. Le banlieue andrebbero raccontate privilegiando i sussurri quotidiani di una moltitudine silenziosa e silenziata. Per comprendere e raccontare anche i movimenti di reazione alla violenza, i movimenti di resistenza da parte delle società locale che vivono dentro i lieux bannis senza mai raggiungere il centro di Parigi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA