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Freud, la Arendt e il senso del Natale

Perché vi proponiamo questa bellissima pagina di Freud? Perché secondo noi è una chiave per capire il senso del Natale...

di Giuseppe Frangi

Nell?estate del 1913 Sigmund Freud era in vacanza sulle Dolomiti con un gruppo di amici. Tra gli altri c?era un grande poeta come Rainer Maria Rilke. Durante una passeggiata, in una bellissima giornata di sole, Freud notò che l?amico camminava sempre a testa bassa. Gli chiese il perché e Rilke confessò di sentirsi sopraffatto dall?idea che tutta quella bellezza fosse destinata a perire. Freud rimase sconcertato da quella risposta che d?istinto ritenne profondamente innaturale. Ma la sua risposta la mise per scritto in un breve testo pubblicato qualche tempo dopo e intitolato appunto Caducità. Nel frattempo la guerra era scoppiata e quindi il pessimismo di Rilke poteva essersi rivelato realistico e profetico, ma Freud non ci sta. E con la chiarezza del suo argomentare ribatte all?amico (che con galanteria lascia nell?anonimato): amare ciò che è attraente è sintomo di sanità mentale. E, aggiunge, la transitorietà non limita ma semmai accresce ai nostri occhi la bellezza delle cose, che sono belle perché c?entrano con la nostra sensibilità viva.
Che ribalta in modo clamoroso le procedure e anziché farsi cercare dalle sue creature (com?è nello status di tutte le religioni), sceglie di farsi trovare. Per questo, a ragion veduta, il cristianesimo più che una religione è un fatto. Il fatto di un Dio visto, incontrato, addirittura toccato, come accadde a tanti uomini e donne di quel tempo.

Per chi non crede, il Natale non è nulla di quanto detto. Eppure, se si ha la semplicità di attenersi alla vicenda (anche se non si volesse credere alla sua veridicità storica), c?è tanto da cui attingere. O meglio: c?è da attingere uno sguardo sulla vita che ha molto a che vedere con lo sguardo di Freud di fronte alle bellezze delle Dolomiti. C?è un bambino che nasce, più forte di tutte le avversità. C?è una ragazza madre, che non è mai stata sfiorata dal pensiero che quel figlio decisamente imprevisto fosse un disturbo. C?è un padre putativo. Oggi lo chiameremmo adottivo: non si fa troppe domande su chi sia il padre naturale e senza batter ciglio si prende la cura di quel figlio non suo. Ci sono i pastori a cui probabilmente non capitava tutti i giorni di assistere ad un parto là dove portavano le bestie a pascolare. Fanno festa e ne han ben donde. Poi arrivano i Magi, sapienti, probabilmente ricchi. E vedere dei ricchi sapienti che si interessano a una vita appena nata non è cosa che possa lasciare indifferenti.

Come scrisse con straordinaria acutezza Hannah Arendt, «il miracolo che preserva il mondo, la sfera delle faccende umane, dalla sua normale, naturale rovina è in definitiva il fatto della natalità». Il Natale è appunto questa festa. è la festa per la vita che c?è, è la festa del reale, delle cose, dell?agire, del pensare. Il Natale non è una replica dialettica al niente: è la sua sconfessione.

Per questo appaiono così ridicole le ritrosie e le paure davanti alla voglia di festeggiarlo e di rappresentarlo con il presepe. Più che attenzione a sensibilità e culture diverse, questa prudenza sembra dettata da una serpeggiante ostilità verso la vita. Da un rancore verso la bellezza delle cose. Da una chiusura preconcetta verso il nuovo. Verso l?inatteso. Per tutto questo noi diciamo: viva il presepe (proprio come Freud aveva detto, senza esitazioni: viva la bellezza delle Dolomiti).


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