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Il nostro augurio: il 2007 sia un vero inizio

Gli auguri che ci siamo scambiati in queste settimane sono che segno della necessità per l’uomo di poter ri-iniziare e parlano del nostro bisogno di darci davvero un domani ...

di Riccardo Bonacina

All?inizio di un anno non è vietato sognare un ricominciamento, pubblico perché innanzitutto privato. Del resto non ci auguriamo l?un l?altro che nel nuovo anno si possano realizzare i desideri più veri? Gli auguri che ci siamo scambiati in queste settimane non sono che il segno della necessità per l?uomo, per ogni uomo, di poter ri-iniziare. Gli auguri parlano del nostro bisogno di darci davvero un domani, come da calendario ma con un di più di carne e di spessore capaci di strapparci alla pura illusione cronologica che ci traghetta dal 2006 al 2007.

Do-ma-ni: si dice, ma si fatica a pensarlo, angustiati come siamo dai sospesi dell?oggi e di ieri. Di solito, infatti, il domani è soltanto il ripostiglio in cui rimandare ciò che non va bene oggi, ciò che non si è riusciti a fare ed è rimasto in sospeso, non risolto, non pronto. Perciò, il domani rischia di essere il luogo temporale del rimuginare individuale e collettivo.Invece, almeno ad inizio d?anno, dovremmo avere il coraggio di farla finita, una volta per tutte, con la ?vecchia storia? fonte di tutti i sospesi e di ogni regolamento di conti. Se c?è un inizio, c?è anche una meta, suggerisce un grande amico di Vita, lo psicanalista Giacomo Contri. «Buon anno!», diciamo come atto formale che inaugura il tempo che verrà affinché vada bene, un saluto che potrebbe strapparci dalla pura sequenza temporale in cui per definizione non c?è inizio. Una recente battuta di Bucchi recita: «Da noi il tempo non passa: ritorna». Ed è proprio così, come una condanna, perché non ci può essere un inizio se non c?è un ?Chi?; un soggetto che ri-prende l?iniziativa, che fa punto e a capo. C?è inizio solo se c?è un ?chi? che inizia. Non vi sembri troppo astruso questo ragionare, è un invito quasi pratico, concreto, un invito a riprendere nelle proprie mani la propria iniziativa, lavorando sulla soggettività. è un invito che facciamo in quest?inizio anno a dei lettori che sappiamo impegnati, attivi, pronti a partecipare alla vita pubblica e farsi carico dei propri e altrui bisogni, eppure così spesso sotto pressione, affaticati per troppo fare. Si è parlato molto in queste settimane di una nuova fase (Fase 2) per il governo e di una nuova ?missione? per il Paese. Prodi, nella conferenza stampa di fine anno ha detto che «Il nostro euro oggi è far crescere l?Italia»; il Presidente della Repubblica, Napolitano, citando la lettera di un condannato a morte della Resistenza, ha invitato tutti ad una nuova coscienza della cosa pubblica (scrisse quel giovane diciannovenne: «La cosa pubblica siamo noi stessi»), da qui il suo invito al dialogo, anche in politica. Si tratta di inviti a una svolta, a un cambiamento, a un ricominciamento capace di guardare al futuro più che al passato. Ed è giusto che sia così, non augureremmo a nessuno un 2007 in cui tutti gli incarognamenti e i veleni del 2006 siano riportati a nuovo (come i debiti in un bilancio contabile). Occorre una svolta. Facciamola, coraggio!

Noi, però, siamo convinti di una cosa, che l?Italia crescerà se più del Pil sapranno crescere le soggettività sociali del Paese e la loro visione e coscienza del futuro. E se crescerà la capacità della politica di ascoltare le parole, i racconti e i ragionamenti dei soggetti impegnati dentro la realtà sociale. Questo settimanale lavorerà per facilitare e incoraggiare questo lavoro.

«Il cielo fa con noi, come noi con le torce, non le accende senza scopo», scrive Shakespeare nelle prime righe di Misura per misura. Ecco la missione: ragionare sullo scopo, affinché ci sia un inizio e, perciò, una meta.


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