Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Famiglia & Minori

Uno stop molto educativo

L'editoriale/ Dire, come ha detto Marisa Raciti, che «mio marito non lo vedo morto: è sempre presente», è frutto certamente di una posizione di fede

di Giuseppe Frangi

«Io mio marito non lo vedo morto: è sempre presente. Lui era un educatore alla vita. Vorrei, adesso, che sia un educatore nella morte. Ma anche che non vi sia un?altra famiglia a provare questo enorme dolore» Marisa Raciti Davanti a parole come queste, dobbiamo porci una domanda fondamentale: da quale coscienza emergono? Qual è il tessuto umano e sociale che genera una coscienza così lucida, così piena di pietà e di speranza? Non è questione peregrina. Perché sotto lo stesso cielo che ha visto quella sciagurata rappresentazione di violenza e poi di volgarità (pensate a quel che ha detto Pippo Baudo?), c?è anche una donna che sa dire parole come queste. Una donna che nel momento del dolore più terribile guarda oltre sé, si prende carico del destino degli altri; di tutti gli altri, le famiglie, i figli, i padri che restano. Se ci soffermiamo, se le guardiamo in profondità, queste parole non possono non impressionarci. Perché è impressionante pensare che nella condizione di oggettivo assedio in cui si trova, nel nostro popolo ci siano ancora spettacoli di umanità come questi. Dire, come ha detto Marisa Raciti, che «mio marito non lo vedo morto: è sempre presente», è frutto certamente di una posizione di fede. È giudizio di una persona che per grazia è fermamente convinta che la morte non sia l?ultima parola. Ma quello che più ancora colpisce è il giudizio successivo: cioè quell?accenno ripetuto due volte al marito come «educatore». Educatore nella vita, ed educatore anche nella morte. Davanti allo spaesamento, al desiderio di vendetta o di giustizia sommaria, alle volgarità dei dibattiti in tv, questa semplice vedova ci porta al cuore della questione cruciale del nostro tempo: quella dell?educazione. Educare: cioè prendersi la responsabilità di guidare chi sta a fianco o viene dietro di noi verso la costruzione della vita. Educare vuol dire non tirarsi indietro. Non chiudersi nel guscio dell?egoismo e del narcisismo, ma capire che si è uomini e donne solo nel momento in cui accettiamo un impegno per il mondo. Educazione è dare una coscienza a questo impegno, dargli una direzione, una strada. Sono mille le direzioni e le strade, ma tutte hanno una caratteristica non eliminabile: quella di andare verso qualcosa, di suggerire un cammino. Ma c?è un?altra riflessione da fare in margine a quanto visto in queste giornate. Ed è questa: gli unici giudizi affidabili sono venuti da persone che per storia o per natura non hanno perso il contatto con la vita vera. Ci riferiamo, oltre che a Marisa Raciti, anche alla fermezza con cui Luca Pancalli ha affrontato questa bufera. A suo onore va il coraggio con cui senza esitazioni ha detto stop al calcio («Un provvedimento preso solo facendo i conti con la mia coscienza»). Una scelta compiuta da un uomo che non rinuncia al suo compito e alla sua responsabilità che non può essere solo quella di gestire con abilità le emergenze ma che richiede di rischiare scelte che siano anche educative. Ecco, lo stop al calcio è un fatto profondamente educativo. Perché costringe a pensare al senso di un gioco che è assai poco gioco. E mette tutti davanti alle proprie responsabilità. Lo stop al calcio ha smascherato le miserie e le piccinerie di un mondo che è fatto di dirigenti incapaci e irresponsabili, di giocatori perennemente immaturi, di gazzettieri volgari e parassiti vari.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA