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Ma non Chiamatela poligamia

Parla Lia, la «ripudiata». E racconta la sua (vera) storia: la prima intervista dopo la «deriva» del pezzo di Allam sul Corriere della Sera

di Redazione

Lia (un nickname, o pseudonimo) è una professoressa italiana che ha vissuto in Egitto. Cura un blog, Haramlik (www.ilcircolo.net/lia), molto visitato in cui parla di Islam con taglio a volte intimistico e spesso appassionato e ?politico?. L?ultima vicenda raccontata, la sua travagliata separazione dal marito, un esponente dell?Islam in Italia, l?ha spinta a confrontarsi con tante altre donne, musulmane e non, e con molte realtà dell?Islam in Italia, avviando sul suo blog la campagna «Un buon divorzio musulmano è possibile, basta una commissione. È un diritto delle donne musulmane» .

Ma la sua vicenda è invece balzata ?all?onore? delle cronache nazionali sul Corriere della Sera e descritta come un pruriginoso «scandalo sessuale a sfondo poligamico» (testuali parole) in prima pagina, a firma di Magdi Allam, che attraverso la pubblicazione di una mail privata di Lia (all?oscuro di tale ?passaggio?), rivela anche il nome dell?uomo sposato con Lia: Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell?Ucoii – Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia. In seguito a quest?articolo, scatta la querela. Scrive Lia il 19 gennaio sul suo blog: «Li ho querelati oggi pomeriggio, sia il Corriere della Sera che Magdi Allam. Per diffamazione, violenza privata e quanto altro. Non so se mi spiego: il Corriere – il principale quotidiano d?Italia, dico – che pubblica a tutta pagina la mia corrispondenza personale, ricevuta illegalmente e senza uno straccio di autorizzazione al mondo».

Abbiamo incontrato Lia, che gentilmente ha acconsentito di rispondere alle nostre domande nella prima intervista dopo la «deriva» (parole sue) del pezzo di Allam sul Corriere della Sera.

Vita: Può raccontarci brevemente la sua storia di matrimonio islamico e successivamente del divorzio?
Lia: Della storia in sé non c?è molto da raccontare, se non per puntualizzare che non era affatto nata come un rapporto poligamico, checché se ne sia detto sulla stampa. È una storia nata come monogamica, tra un signore che si stava separando dalla moglie e aveva già islamicamente divorziato, e la sottoscritta. Per coerenza verso la sua fede religiosa, questo signore ha voluto regolarizzare il suo rapporto con me attraverso un matrimonio islamico, e io ho acconsentito. In seguito c?è stato un riavvicinamento tra questo signore e la sua famiglia precedente e, dopo un periodo di inevitabile indecisione, il nostro matrimonio si è sciolto e lui è tornato in seno alla famiglia accompagnato da tutta la mia comprensione per la sua scelta. Una vicenda banalissima, che accade continuamente in ogni luogo e in ogni religione, e che è lontanissima dalle tinte scandalistiche con cui l?ha esposta il Corriere. Il problema, a livello personale, è sorto dopo.

Vita: Quando?
Lia: Subito dopo la fine del nostro rapporto, quando mi sono ritrovata in una situazione oggettivamente molto difficile. Avevo precedentemente chiesto il trasferimento di posto di lavoro da Milano a Genova, e questo mi è arrivato esattamente nel momento del divorzio. A quel punto mi sono ritrovata in una situazione di serissima difficoltà e, per giunta, in un momento in cui ero comunque non poco provata. In questo frangente, il mio ex marito ha rivelato un totale scollamento tra i dettami della sua religione – che prevedono, tra le altre cose, l?obbligo di assistenza verso la moglie nei tre mesi successivi al divorzio – e il suo comportamento effettivo, visto che non solo si è espressamente rifiutato di prestarmi la benché minima assistenza, ma non ha dimostrato neanche alcuna preoccupazione per quali potessero essere le mie condizioni in quel momento. Questo comportamento era in assoluta contraddizione sia con lo spirito che con le regole di quel matrimonio islamico da lui fortemente voluto per potere avere una relazione lecita dal punto di vista religioso, con l?aggravante che chi contraddiceva le regole aveva un ruolo di responsabilità che avrebbe dovuto spingerlo a rispettarle ben più di quanto non debba fare chi non ha ruoli e responsabilità nei confronti dell?Islam.

Vita: Perché ha ritenuto di rendere pubblica questa esperienza, pur mantenendo anonimi i protagonisti, attraverso il suo blog?
Lia: Mi sono trovata di fronte a un dilemma: io scrivo in rete di Islam e mondo arabo da molti anni. Credo di essere stata una delle prime donne in Italia a proporre, su internet, una lettura di questi argomenti tesa a contrastare i pregiudizi e i luoghi comuni contro questa religione, a partire da quelli legati alla condizione femminile. Ho parlato più volte, negli anni, dei diritti che la religione islamica riconosce alle donne spiegando che, quando sono negati, sono negati dagli uomini o dalla società, e non certo dall?Islam in quanto tale. Adesso, proprio in Italia, mi ritrovavo a confrontarmi con una serie di contraddizioni e incoerenze che, sommate ad altre storture, mi offrivano un panorama delle prassi adottate all?interno dell?Islam di questo Paese che contraddiceva non solo lo spirito e le regole dell?Islam stesso, ma anche il discorso pubblico fatto da quegli stessi esponenti della comunità islamica che più si prodigavano a diffonderle e a farle conoscere. Contraddiceva, soprattutto, tutto ciò che io avevo scritto per molti anni, confermando implicitamente molti degli argomenti usati dai detrattori dell?Islam e dei musulmani: il doppio discorso, il disprezzo per la donna, le belle parole usate verso l?esterno dai leader come maquillage per coprire e rimuovere una realtà ben più bieca. Di fronte a questo, reagire era assolutamente doveroso giacché sapevo di stare vivendo, in piccolo, una situazione condivisa – in termini ben più drammatici e senza sbocco – da un gran numero di donne, spesso immigrate, sole e senza strumenti, che si erano ritrovate, si ritrovavano o si sarebbero ritrovate in una situazione analoga alla mia in un Paese in cui per le donne musulmane non esiste alcuna rete di assistenza. Attraverso il mio blog, che ha anche un suo pubblico di musulmani e musulmane, ho quindi iniziato a condividere – a volte in modo politico, a volte in modo personale e intimistico – pensieri e riflessioni, critiche e indignazioni, quotidianità e denunce sociali che andavano emergendo dalla mia esperienza. L?iniziativa affrontava un tema decisamente sentito dalle musulmane di questo Paese, e non tardai ad averne conferma: nei blog e nelle mailing list femminili islamiche cominciò a diffondersi un fermento che dava vita a idee concrete, come la stesura di un documento di matrimonio comune a tutte le moschee, l?ufficializzazione dei matrimoni islamici davanti al notaio, l?istituzione, all?interno delle organizzazioni islamiche, di organi di tutela, di figure a cui rivolgersi, di fonti a cui attingere. Erano le settimane in cui si svolgeva, a Barcellona, il secondo Congresso internazionale di femminismo islamico, di cui in Italia non si era parlato, e si creò una ricettività diffusa attorno a queste tematiche.

Vita: Allam sul Corriere della Sera ha cominciato allora a rivelare la sua storia, puntando sulla poligamia.
Lia: Infatti. Tutto questo subì una battuta d?arresto nel momento in cui, il 1° dicembre, uscì un primo articolo di Magdi Allam. Cominciò a prendere piede l?allarme sulla poligamia, cavalcato dalla destra in modo strumentale per spostare gli equilibri interni alla Consulta, e lo spiraglio di discussione che sembrava essersi aperto su questi temi venne soffocato dalla necessità di difendersi di fronte all?ennesimo attacco mediatico rivolto alla comunità. Parallelamente, l?aspetto privato della mia vicenda si trascinava in un mare di cavilli secondari, rimandi e temporeggiamenti che impedivano di chiuderla per passare definitivamente al solo aspetto teorico della questione. Paradossalmente, il primo attacco del Corriere aveva soffocato il dibattito su queste tematiche ma non aveva avuto alcun peso nella risoluzione della vicenda privata da cui avevano preso spunto. E credo che ciò sia stato dovuto al fatto che, da un punto di vista personale, non c?era nulla da nascondere, se non appunto il nome dei protagonisti che avrebbe potuto essere cavalcato a fini scandalistici.

Vita: Poi c?è stato l?articolo del 16 gennaio in prima pagina, sempre firmato da Allam…
Lia: Sì, appunto. E lì la cavalcata si è compiuta. Il Corriere, venuto in possesso a mia insaputa di un?email personale vecchia di mesi, l?ha sbattuta in prima pagina senza alcuna autorizzazione trasformando una questione di diritti nel divorzio in un bieco caso di poligamia, ripudio, scandalo sessuale e altre sconcezze che non hanno nulla a che vedere con la realtà dei fatti e che stravolgono la vicenda. La gravità di una tale azione ha fatto sì che io sporgessi querela sia verso il giornale che verso l?autore dell?articolo.

Vita: E ora? La campagna sul diritto delle donne musulmane a divorziare va avanti?
Lia: Sì, anche se bisogna aspettare che passi la bufera. Le priorità, in questo momento, consistono nel ristabilire la verità e nell?opporsi a questo modo strumentale e violento di fare informazione che, di fatto, si traduce in attacchi pretestuosi inferti a una comunità per calcolo politico o ripicche personali. La volontà di mantenere aperta una riflessione sulla condizione femminile nell?Islam e nella società italiana continua a esistere nei canali di comunicazione usati dai musulmani e dalle musulmane. Certo: fino a quando l?apertura all?esterno di certi dibattiti continuerà a prestare il fianco all?attenzione strumentale e malevola dei media, sarà difficile che questi emergano dal circolo ristretto della comunità.


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