Attivismo civico & Terzo settore

Calcio. Intervista a Luca Pancalli

Calcio, che è qualcosa di diverso dal football. Perché è quello sport tutto italiano, capace di grandi imprese ma anche di grandi nefandezze...

di Carmen Morrone

Vita: Lei è una bandiera dello sport sano. Dello sport che è veicolo di riscatto e di dignità. Per sei mesi si è trovato ai vertici invece dello sport più popolare, ma più malato che ci sia. Un malato che ha speranza?
Luca Pancalli: Non generalizziamo. Il calcio che noi siamo abituati a conoscere è quello sotto ai riflettori, che è la punta dell?iceberg, poi c?è un altro sistema calcio rappresentato dalla base della piramide, costituita dalle scuole calcio dei bambini, dalle persone che occupano il tempo libero giocando a calcetto, dove prevale lo sport. Bisogna trovare il punto di equilibrio tra gli interessi economici, che obiettivamente ci sono, con i valori e quindi recuperare quella funzione educativa, di gioco, che tutto lo sport possiede.

Vita: Lei è davvero convinto che il calcio d?élite sia disposto a cambiare?
Pancalli: Penso di sì. Io sono uscito più ottimista di quanto non fossi entrato. Per quella che è stata la mia esperienza, seppur breve, ho percepito una grande disponibilità e volontà di cambiamento purché guidata. Non è una cosa che si fa in poche settimane, è un processo che nel medio e lungo termine potrebbe portare risultati. In altri Paesi europei dove esistono le stesse contraddizioni che viviamo in Italia, si stanno affrontano le questioni, che però non sembra si siano risolte in maniera migliore rispetto a noi.

Vita: Eppure ai vertici della Federcalcio ora è stato chiamato Giancarlo Abete mentre alla Lega calcio serie A c'è Antonio Matarrese. Non sono propriamente delle new entry…
Pancalli: Posso capire le perplessità, ma sono abituato a giudicare le persone da quello che fanno e non dai cognomi che portano. Non so esprimere giudizi perché non li ho mai visti all?opera. Dieci anni fa ero ancora l?atleta, figuriamoci se sapevo cosa facevano!

Vita: Sulle pagine di Vita l?economista ed esperto di calcio Marco Vitale ha elogiato la sua decisione di fermare il campionato e la nazionale. Anzi Vitale rilanciava: fermare il calcio per dieci anni.
Pancalli: La notte del 2 febbraio, dopo che il poliziotto Filippo Raciti veniva ucciso durante gli scontri con ultras davanti allo stadio di Catania in occasione del derby Catania-Palermo, non feci scelte dettate dalle emozioni del momento. Ho ritenuto di dover rispondere alla mia coscienza. Bloccare il calcio per un periodo più lungo, però, sarebbe stato incoerente con quello che avevo chiesto. Per poter ripartire avevo chiesto interventi rapidi, drastici, rigorosi, immediati da parte del governo e questi sono arrivati: il pacchetto antiviolenza è stato emanato in cinque giorni, penso sia un record. Sarebbe stato quindi incoerente e non corretto nei confronti di tutto il resto del mondo del calcio, che non si esprime solo con facinorosi o delinquenti che non hanno nulla a che vedere con questo mondo né tanto meno con quello della tifoseria, organizzata e non.

Vita: Si è mai chiesto qual è il motivo profondo per cui uno sport tanto popolare non riesca a liberarsi da questo incubo della violenza?
Pancalli: È evidente che c?è qualcosa che va al di là dello sport e del calcio. E per manifestare questo disagio qualcuno ha scelto gli stadi per via dell?attenzione mediatica che il fenomeno calcistico ha rispetto ad altri settori. Ciò accade anche in Francia, Spagna, Germania. Dobbiamo approfondire in maniera seria una volta per tutte le responsabilità che hanno le componenti del mondo sportivo, dirigenti, calciatori. Nessuno è esente da responsabilità.

Vita: A proposito di responsabilità: non sarebbe il caso di limitare l?uso della moviola e di punire in modo esemplare i dirigenti che, parlando male degli arbitri, di fatto aizzano le tifoserie?
Pancalli: Sulla prima questione capisco il problema e stigmatizzo l?uso spropositato che si fa dello strumento. Non credo che imposizioni esterne servirebbero. Mi auguro che i media sappiano mettere dei paletti. Del resto l?abuso di uno strumento alla fine lo rende anche poco interessante. Quanto ai dirigenti, nel pacchetto che sta per essere approvato ci sono misure nella direzione che lei indica.

Vita: Fa riferimento alle regole dettate dal nuovo codice di giustizia sportiva – operativo dal 1° luglio – che oltre alla sua porta la firma di Massimo Coccia e di un team di esperti.
Pancalli: Per i dirigenti che tengono determinati comportamenti e che fanno dichiarazioni che contribuiscono a fomentare gli animi, nel nuovo sistema di regole è stata prevista la possibilità di comminare sanzioni. Abbiamo infatti voluto tentare un processo educativo anche attraverso strumenti di carattere giudiziario che hanno un loro peso. Non sono invece d?accordo nel proibire la moviola. Ribadisco, tutto deve mantenersi nell?alveo di quella che deve essere una gara. E quindi non bisogna andare a criminalizzare gli arbitri per degli errori, che possono capitare: il direttore di gara è un uomo e può sbagliare.

Vita: E nuove regole per il calcio giovanile?
Pancalli: Per i ragazzi che abbiano tenuto comportamenti violenti verso gli arbitri è stata prevista una sanzione innovativa: obbligo di frequentazione dei corsi di formazione arbitrale. Ciò per far capire che gli arbitri sono ragazzi come loro, con la stessa passione calcistica.

Vita: In questa prospettiva lei ha lanciato l?idea di un?iniziativa quale Campioni sempre: un raccordo tra diverse generazioni in nome di uno sport che sia capace di educare. Di che cosa si tratta?
Pancalli: Da questo mese e per due anni porterà nelle piazze italiane i calciatori che hanno fatto la storia del calcio italiano coinvolgendo famiglie, tifosi e alunni delle scuole. è stata pensata per far sì che il calcio si riappropri del suo essere sport, che vuole dire divertimento e non solo spettacolo mediatico e business. Ripercorre la storia e la tradizione del nostro calcio serve a viverlo come valore condiviso. E sarà proprio la gente a creare la hall of fame del calcio italiano e in particolare della nazionale.

Vita: Lei ha la tempra del grande ottimista. Eppure, calcio a parte, oggi lo sport tradizionale non gode di grande centralità nel nostro Paese. La moda culturale suggerisce altre pratiche, come fitness o sport estremi. Lo dicono anche i dati Istat…
Pancalli: Quello che dice è vero anche se in realtà il numero dei praticanti, in base ai tesserati delle varie federazioni, è sostanzialmente costante. Il problema reale è che noi siamo un Paese dove i bambini obesi aumentano sempre più. Oggi siamo bombardati dal miraggio dello status fisico, con i problemi dell?anoressia e il diffondersi di farmaci per aumentare le prestazioni fisiche. Nello stesso tempo c?è un altro paradosso: la società è diventata estremamente sedentaria. Perciò bisogna insistere con tutte le forze sulla diffusione di una cultura dello sport e delle attività motorie intese come benessere fisico, divertimento, tempo libero e anche agonismo. È un processo che ha una grande valenza educativa.

Vita: Un lavoro da fare sulle famiglie…
Pancalli: Sì, anche perché le famiglie sono in grande difficoltà a sostenere il giovane che fa attività sportiva a livello agonistico. Anche se quello che manca, secondo me, è una cultura di base. Sulle famiglie ricade anche la poca convinzione che la scuola mette nella disciplina delle attività motorie. Vengono concepite come ore ricreative e non come ore pienamente educative. Se si iniziasse a prendere più sul serio lo sport nella scuola, certamente sarebbe più semplice affrontare tanti problemi anche del grande sport.

Luca Pancalli, 43 anni, nato a Roma, da tempo impegnato nelle politiche sociali per il rispetto dei diritti dei disabili. È sposato e ha due figli. È su una sedia a rotelle dal 1981, in seguito a una caduta di cavallo durante un torneo di equitazione. Nel 2000 viene eletto presidente della Fisd. Dal 2005 quest?incarico si trasforma in quello di presidente del nuovo Comitato italiano paralimpico.


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