Attivismo civico & Terzo settore

Carlo Caracciolo con il non profit

L'assemblea degli azionisti di Vita ha deliberato un aumento di capitale interamente riservato a Carlo Caracciolo, presidente onorario del Gruppo Espresso

di Riccardo Bonacina

Questa settimana vogliamo dar conto di una bella notizia non solo per Vita, ma per tutto il non profit italiano. Lassemblea degli azionisti di Vita, la public company della società civile e del non profit italiano (la spa senza scopo di lucro è controllata per il 54,83% da organizzazioni non profit, tra cui Fondazione Vita, il Consorzio di cooperative sociali Cgm, Arci, Acli, Focsiv, Cesvi, Telefono Azzurro, Lega del Filo d’oro, e altri) ha, infatti, deliberato un aumento di capitale interamente riservato a Carlo Caracciolo, presidente onorario del Gruppo Editoriale L’Espresso, che così diventa socio con la sottoscrizione di una quota del 6% delle azioni della nostra società editoriale.

«Credo che la progressiva globalizzazione e la crescente esasperazione dei conflitti mondiali richieda una maggior presenza attiva delle organizzazioni non profit della società civile, in Italia e altrove. Questo è il senso che vorrei dare alla mia partecipazione a Vita», così Caracciolo ha motivato la sua decisione, una decisione che segue quella che il 2 gennaio scorso lo ha spinto ad acquisire il 30% del quotidiano francese Libération.


82 anni, ma con lo spirito di iniziativa e di indipendenza di un ventenne, Carlo Caracciolo è l’uomo che ha attraversato cinquant’anni di editoria cercando di tenere sempre viva la vocazione prima di ogni vero editore: quella di essere al servizio dei lettori e della società civile. La faccia da Samuel Beckett e una vita da film: cresciuto tra l’ambasciata italiana ad Istanbul e e la casa di Careggi, partigiano nella Val d’Ossola, condannato a morte, è insieme fiorentino, americano e napoletano. Grande animatore di idee, di incontri e di uomini, ha una straordinaria capacità di fare impresa editoriale. La sua lunga e fortunata avventura (Un editore fortunato, si intitola così sua autobiografia) dentro l’editoria comincia il 2 ottobre 1955 quando nasce L’Espresso. Così Caracciolo ha raccontato i suoi inizi: «Nell’estate del 1955, non avevo ancora trent’anni, il mitico Adriano Olivetti decise di fondare un settimanale. Cesare Musatti (che ad Ivrea fondò il primo centro di psicologia del lavoro) mi propose di collaborare all’iniziativa. Gli obiettai: Ma io non ho una lira. Replica rassicurante: I soldi li mette l’ingegner Adriano Olivetti. Per la tua quota, ti farò un prestito. Così partimmo. Dopo poco più di un anno, Olivetti mi convoca per comunicarmi la sua determinazione di disfarsi del settimanale e mi regalò le azioni perché continuassi io».


La scelta dell’uomo che ha inventato L’Espresso, La Repubblica e che ha poi vivificato la rete di giornali locali, di diventare nostro compagno di cammino è una scelta che ovviamente ci onora. Non solo perché Caracciolo incarna, anche biograficamente, un’avventura editoriale pura, coerente e di successo, ma anche perché la sua scelta sviluppa una volta di più quel fil rouge che dal momento della nascita de L’Espresso ad oggi, ha tenuto sempre vivo: la necessità, cioè, che il fare industria e politica non sia mai disgiunto dal fare società. Da questo punto di vista è ancora grande e viva la lezione di Adriano Olivetti con cui Caracciolo ha avuto modo di lavorare e collaborare (non a caso abbiamo voluto chiamare il nostro mensile Communitas, provando a far risuonare nei nostri anni quella sacrosanta insistenza sul termine ?comunità? di Olivetti). Perciò la scelta di Caracciolo è oggi anche un segnale culturale e politico di attenzione e di fiducia verso quella parte di Paese che non se ne sta nei talk show a litigare ma che prova a dare risposte ai bisogni sociali innovando servizi e welfare, affinché cresca in forza ed efficacia. A partire da chi ha il compito di darle voce.


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