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Famiglia & Minori

Chi prepara i bambini ad essere adottati

Si fa un gran parlare di formazione per le coppie che vogliono adottare, ma nessuno scopre l’altra faccia della medaglia: chi prepara un bambino ad essere adottato? Nessuno, o quasi...

di Sara De Carli

Per le coppie che vogliono adottare un bambino la formazione è ormai una tappa obbligata. Quasi mai si sente parlare di percorsi che preparano i bambini ad essere adottati. Il Ciai lo fa. Tsion Teferra è la psicologa eritrea che segue i bambini abbandonati ad Addis Abeba, preparandoli a sbarcare in un mondo dove tutti sono bianchi. Sfidando anche le critiche dell?opinione comune.

Si fa un gran parlare di formazione per le coppie che vogliono adottare, ma nessuno scopre l?altra faccia della medaglia: chi prepara un bambino ad essere adottato? Nessuno, o quasi. Come se per lui fosse tutto facile e bello, un regalo che piove dal cielo senza portare con sé alcuna difficoltà. Ma con l?adozione un bambino comincia una nuova vita, spesso lascia la propria terra e sbarca in un mondo sconosciuto: uno choc. Davvero non serve qualcuno che lo prepari?

Qualcuno c?è. Si chiama Tsion Teferra, ha 27 anni, è etiope e psicologa. Dal 2004 lavora ad Addis Abeba per il Ciai. è presente in 4 dei 35 istituti della città, che accolgono circa 250 bambini: in questo momento ne sta preparando 22. Il lavoro comincia ben prima dell?abbinamento. Molti bambini hanno visto i genitori morire; altri sono stati portati in istituto dalla famiglia. Tutti dicono di essere stati abbandonati perché sono ?bambini cattivi?: il primo obiettivo è farli sentire amati e accettati, ridargli fiducia nel futuro. Si comincia con il lavoro di gruppo, dove si parla dell?abbandono in astratto. «Poi i bambini parlano di sé», dice Tsion. «Qualcuno è molto freddo, come se la cosa non lo riguardasse, altri si chiudono. Finché non hanno superato lo choc è inutile parlare di adozione». E pazienza se ci vuole un anno.

Solo allora Tsion manda in Italia la scheda del bambino, con il maggior numero di informazioni possibili: su questa base le esperte del Ciai scelgono la famiglia più giusta per lui. Poi Tsion presenta al bambino la nuova famiglia, gli mostra le foto, gli spiega che in Italia i compagni saranno bianchi. «Quando arrivano le foto i bambini sono emozionatissimi. La prima cosa che chiedono è se potranno andare a scuola, la seconda se anche i nuovi genitori li abbandoneranno. Poi dei fratelli, la lingua, la cameretta. Alcuni pensano che in Italia tutti sono ricchissimi, che i nuovi genitori saranno perfetti. Gli spiego che non è così, ma che anche in Italia ci sarà qualcuno che li aiuterà». Naturalmente i bambini confrontano le foto: gettonatissime le mamme dai capelli lunghi e lisci, ma nessuno ha mai detto di volere altri genitori.

Ad Addis Abeba il Ciai è l?unico a fare questo percorso, conquistandosi una grande credibilità. È per questo che Tsion ha accettato di lavorare con loro. Alle adozioni internazionali infatti non ci pensava proprio: «In Etiopia l?adozione internazionale non è ben vista. Ci sono enti che pagano le famiglie per abbandonare i bambini: succede quando i collaboratori sono pagati in base al numero di adozioni che portano a termine». L?ultimo successo? Di recente il Ciai è riuscito a trovare una famiglia anche a due fratelli, di cui uno sieropositivo. Gira voce che sia l?ente che riesce anche nelle ?adozioni impossibili?.

Il Ciai – Centro italiano aiuti all?infanzia è una ong nata nel 1968. è presente in Etiopia dal 1990, dove lavora su progetti di cooperazione internazionale, sostegno a distanza e come ente accreditato all?adozione internazionale. In questi anni, con il Ciai, 297 bambini etiopi sono stati adottati da famiglie italiane. Il Ciai è l?unico ente in Eritrea ad avere un progetto di consulenza psicologica per preparare i bambini all?adozione: hanno iniziato nel 2004 perché gli istituti spesso non hanno abbastanza personale per dare informazioni precise sui minori, elemento indispensabile per un buon abbinamento.
www.ciai.it


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