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Fra mare e comunità, la mia storia… stupefacente

All’inizio andavo sulle barche degli altri ed ero pagato. A lungo andare però è diventato frustante perché mi sentivo come un guidatore d’autobus...a cura di, Giovanni Soldini

di Redazione

All?inizio andavo sulle barche degli altri ed ero pagato. A lungo andare però è diventato frustante perché mi sentivo come un guidatore d?autobus. Avevo voglia di andare a vela e mi capitava spesso di trovarmi con persone a cui non importava affatto.

Quando ho trovato un armatore che mi ha dato la possibilità di fare le prime regate in solitario, ho sempre cercato di creare un?immagine della vela diversa da quella che si ha comunemente in Italia. Ho cercato di comunicare che la vela non dev?essere per forza lo sport dei ricchi, anzi al contrario. I ricchi lo fanno per divertirsi, ma chi fa vela seriamente lo fa per la vita, con passione e di professione fa il marinaio.

Passavo le giornate cercando di andar veloce. In barca a vela però non si va veloci perché ci si muove tanto, ma perché si fanno le scelte giuste, perché rimani lucido. è una questione di equilibrio.

A un certo punto ho deciso di costruirmi una barca. Io però non volevo semplicemente costruire una barca, volevo allargare un po? il campo d?azione, cercare di fare qualcosa di più. Finalmente ho incontrato un mio vecchio compagno delle elementari che dopo aver avuto grossi problemi di tossicodipendenza lavorava all?interno di una comunità (la comunità Saman di Latina, ndr). Gli ho buttato lì l?idea, gli è piaciuta, ne ha parlato con il capo della comunità e così abbiamo concordato. Mi hanno messo a disposizione un capannone. Nessuno lì dentro aveva mai visto una barca. Con altri quattro amici, abbiamo messo a posto il capannone e abbiamo cercato di coinvolgere i ragazzi della comunità, che all?inizio erano decisamente perplessi. Ed è stato bello. «Stupefacente» è diventata la barca di tutti, non solo la mia barca.

Giovanni Soldini – velista – per contatti, tel. 02.29403573


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