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Cari sindacati, chi rappresentate?

Massimo D’Alema, con tutta l’antipatia di cui è capace, ha lanciato molti messaggi, domenica 20 maggio, dalle colonne de Il Corriere della sera...

di Riccardo Bonacina

Massimo D?Alema, con tutta l?antipatia di cui è capace, ha lanciato molti messaggi, domenica 20 maggio, dalle colonne de Il Corriere della sera. Tra gli altri, il ministro degli Esteri, ha accusato i sindacati «di aver perso lo slancio che ha sempre caratterizzato il movimento sindacale, che era una forza capace di farsi carico dei grandi temi dello sviluppo del Paese. Oggi non è più così», ha chiosato D?Alema, «il sindacato è molto più focalizzato sulla tutela di interessi, legittimi, ma di natura particolare». Comunque la pensiate su D?Alema (intelligente almeno quanto antipatico), bisognerà pur riconoscere che ha toccato non solo un punto di reale debolezza del Paese, ma un?urgenza vera: la crisi della rappresentanza sociale, che è oramai grave e visibilissima proprio nelle organizzazioni più strutturate e potenti come i sindacati.

Basta guardare alla vicenda del contratto degli statali. Ora che si avvia ad una soluzione una vertenza in corso da ormai otto mesi (il ministro della Funzione pubblica, Luigi Nicolais ha dichiarato che il governo avrebbe deciso di stanziare le risorse per garantire un aumento pari a 101 euro al mese in busta paga), ci si permetta un breve ragionamento. Non può non stupire che i sindacati abbiamo deciso di minacciare per la prima volta (con questo governo) lo sciopero generale e di tracciare come propria linea ?maginot?, proprio il contratto della categoria più protetta e garantita, i 200mila ministeriali, e per una differenza di sei euro tra la proposta del governo (95 euro) e la richiesta della categoria (101 euro). Un?alzata di scudi arrivata proprio nelle stesse ore in cui la Corte dei Conti diffondeva una nota sul costo del lavoro pubblico per gli anni dal 2003 al 2005 che recita così: «La spesa per i dipendenti pubblici è cresciuta, a ritmi elevati, negli ultimi anni e il suo contenimento deve costituire una priorità delle politiche retributive, per gli effetti che si proiettano sulla finanza pubblica e sul sistema economico in cui è inserito il nostro Paese. (?) Il costo del lavoro sostenuto dalla pubblica amministrazione per quanto riguarda il personale complessivamente impiegato (che include, oltre agli stipendi, altre voci come indennità di missione, formazione etc.) è passato dai 130 miliardi di euro del 2001 ai 148,7 miliardi di euro del 2005 (+14,4%)».

Ora, è evidente a chiunque abbia i piedi per terra e gli occhi fissi sulla realtà che l?alzata di scudi per il contratto dei ministeriali è battaglia ultimativa di chi vuol garantire la propria stanca sopravvivenza e non il futuro del Paese e il suo sviluppo. Lo sciopero generale minacciato per i sei euro in più ai ministeriali che costeranno oltre un miliardo di euro alle casse dello Stato, è battaglia di chi si sente minacciato nel proprio fortino e nelle proprie rendite di posizione. A noi, le urgenze e le questioni ultimative paiono altre. Per esempio, che decine di migliaia di disabili e disoccupati in questo Paese abbiano una pensione di invalidità pari a 256 euro mensili. Per esempio, che per i giovani post laurea, in questo Paese, non esista più (né a livello statale né a livello regionale) uno strumento di introduzione e sostegno all?autoimpreditorialità. Per esempio, che in un Paese dove c?è «richiesta larga e crescente di aiuto – anche con i ?pacchi viveri? che parevano definitivamente superati» (parola di Bagnasco, nuovo presidente della Cei), non esista nessuno strumento di lotta alla povertà. Per esempio, che oltre il 10% della forza lavoro di questo Paese (ma in alcune zone e settori siamo ben oltre il 15%), fatta da immigrati, non abbia reale rappresentanza nei ruoli intermedi dei sindacati italiani. Cari Epifani, Bonanni e Angeletti, ha ragione D?Alema: chi rappresentate?


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