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Malato mentale e lavoro, un incontro possibile

Psichiatria/ Un convegno ha fatto il punto sui modelli di inserimento, di Silvia Forasassi e Franco Fattori

di Redazione

Superare lo stigma, allenarsi a esercitare un ruolo, sostenersi con gruppi di auto-mutuo-aiuto e riscoprire l?alveo della cooperazione sociale. È ruotato attorno a questi concetti il workshop Strategie e modelli per l?ingresso nel mondo del lavoro del paziente psichiatrico che si è svolto nell?ambito della Settimana della salute mentale tenutasi a Rimini e Riccione dal 20 al 27 maggio. Nel clima della otto giorni, intitolata Tutti uguali Tutti diversi, si è discusso a lungo sulla non facile condizione che la malattia mentale comporta anche nella vita sociale. Soprattutto in un ambito delicato e difficile come l?attività lavorativa.

«Sono tre i principali modelli di inserimento per gli utenti con disagio mentale», ha detto Paola Carozza dell?unità operativa Riabilitazione del Dipartimento di Salute mentale di Ravenna. «Il primo è il lavoro transizionale, un allenamento all?esercizio di un ruolo: una sorta di tirocinio in cui l?utente può accrescere competenze e motivazioni. Il secondo è il lavoro supportato, in cui aumenta monte ore e carico di lavoro, ed entrano in gioco fattori ausiliari come gruppi di auto-mutuo-aiuto, sensibilizzazione dei colleghi e coinvolgimento del paziente. Il terzo modello riguarda l?impresa sociale, la cooperazione, in cui si crea un gruppo di utenti e lavoratori non disabili uniti da una comune sinergia imprenditoriale». I problemi nascono nel momento in cui il paziente si rende conto, in una fase di inserimento, che la sua presenza è provvisoria e che non avrà alcuna prospettiva nell?impresa. E ancora, lo stipendio di 150-250 euro al mese, che non basta nemmeno a ripagare la benzina. Tutti fattori all?origine di un senso di mortificazione che determinano il fallimento dell?inserimento e l?abbandono del posto di lavoro.

«Uno dei principi che dovrebbero ispirare i programmi di inserimento lavorativo», ha continuato Paola Carozza, «è invece il coinvolgimento dell?utente e lo sviluppo di una percezione positiva del lavoro». Quindi, un superamento dei modelli tradizionali, troppo protettivi e graduali, che rischiano di perpetuare un meccanismo manicomiale. «L?Italia in questo senso», ha aggiunto Angelo Fioritti, responsabile del Servizio di Salute mentale della Regione Emilia Romagna, «è il primo Paese, insieme al Regno Unito, a promuovere percorsi che favoriscono un inserimento lavorativo del paziente psichiatrico nel libero mercato». L?obiettivo è creare un sistema articolato in cui la persona con disagio psichico possa essere supportata rispetto ai suoi limiti, ma soprattutto sperimentare le proprie potenzialità. Ha chiuso il convegno Daniela Vellico, assistente sociale della Asl 3 di Genova, dove opera una équipe qualificata che forma utenti per l?inserimento occupazionale.

Per informazioni sul convegno Tutti uguali Tutti diversi: www.volontarimini.it


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