Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Elogio dei compromessi

Cosa sia la tradizione, immaginiamo di saperlo tutti. Alcuni se ne fanno paladini, credendo che quella vera sia una sola...

di Maurizio Regosa

Cosa sia la tradizione, immaginiamo di saperlo tutti. Alcuni se ne fanno paladini, credendo che quella vera sia una sola. Scorciatoia intellettuale (?) rassicurante che però, alla lunga, può non aiutare. Non va consultata come un libretto che contenga indicazioni e suggerimenti per tutte le stagioni: la tradizione va reinterpretata.

Come appunto fa la protagonista di questo interessantissimo film di Wang Quanan (Orso d?oro a Berlino). Quel che le è capitato – il marito invalido a seguito di un incidente, la necessità di farsi capofamiglia e occuparsi di tutto, dai figli alle pecore, in una zona semidesertica della Mongolia, molto affascinante sullo schermo – l?ha costretta a interrogarsi su come gestire al meglio e con coerenza la difficile situazione. Come trovare appunto nuove soluzioni. Quel che viene in mente a tutte le donne che la circondano è il divorzio, quel che la giovane Tuya aggiunge è un nuovo matrimonio con un marito che le voglia bene (ha dei diritti anche lei, in fondo, no?) ma che si prenda carico anche dell?anziano ex.

In Occidente forse la chiameremmo famiglia allargata, guardandola con la superficialità che spesso ci caratterizza. Qui, fra gli altipiani rocciosi, una casa ogni troppi chilometri, è testimonianza di come gli affetti e il bisogno debbono trovare una sintesi. E di come gli affetti contino, di come occorre dar loro spazio e riconoscimento, nel passato come nel presente. E di come la mediazione non faccia rima con umiliazione (perché l?altro non diviene ?nemico?, in alcun caso). Non solo in nome del freudiano principio di realtà, quanto soprattutto perché la vita (e quindi la tradizione che da essa scaturisce) non è composta di fratture (se ne discuteva l?ultima volta, parlando di Il destino nel nome).

Ma per fortuna e saggiamente Il matrimonio di Tuya non è un trattato: questi temi li accenna facendoli emergere attraverso il racconto delle mille quotidiane fatiche, dei piccoli gesti affettuosi, della ripetitività anche: giorno dopo giorno andare a prendere l?acqua a 15 chilometri di distanza? Su tutto giganteggia la figura di Tuya, minuta eppure fortissima, consapevole esserino che non cede, anche quando intorno non la capiscono.

È questa una sottotraccia, per chiamarla così, molto importante. Di fronte all?iniziativa di Tuya, l?ottusità maschile. Il famoso essere ?tutti d?un pezzo? che significa in realtà non capire gli affetti se non come forma di possesso e di predominio, non immaginare la relazione se non come scontro e battaglia.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA