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Famiglia & Minori

Fiorenzo. uno come tutti

Non cammina. Non parla. I suoi genitori lo videro in una comunità quando aveva 18 mesi. Ci pensarono e decisero di tenerlo con loro ...

di Sara De Carli

Se c?è una cosa che Michela non sopporta, è quando la gente le chiede: «Qual è quello adottato?». «Quello che vuoi», risponde. «Scegli te. Fiorenzo è nostro figlio, come gli altri». Fiorenzo ha 9 anni e sta con Michela e Stefano da sette. Gli altri, i figli naturali, sono sei: tutti maschi, dai 18 ai 2 anni. Come gli altri, Fiorenzo non è. È nato prematuro, al quinto mese di gravidanza, con dei danni cerebrali. Non cammina, non parla, arriva rannicchiato in braccio a papà Stefano, due occhi neri, grandi, che ti scrutano da sopra la spalla, e sembra che di anni ne abbia cinque. Michela l?ha incontrato in una comunità. Lui aveva 18 mesi e lei cinque figli: l?ultimo era nato appena un mese prima di Fiorenzo. «è arrivata a casa e mi ha detto: ?Cosa ne dici se lo adottiamo??», ricorda ora Stefano. «Una cosa naturale, semplice, niente di eccezionale».

Se vogliono tanto essere considerati normali, è perché normali non sono, viene da pensare. Sette figli, un?adozione speciale, Stefano che fa il falegname, non l?amministratore delegato: dodici ore di lavoro al giorno, qui nelle valli bergamasche, fino a quando, tre anni fa, ha mollato tutto per cercare un posto che gli lasciasse più tempo per i figli. Oggi fa l?operaio, turni di sei ore, mille euro al mese più assegni famigliari e accompagnamento: «A me bastano. Per la prima volta sono andato a sciare con i miei figli». Sono mormoni, Michela e Stefano: è la seconda cosa che dicono presentandosi. «Non siamo moltissimi, nelle valli, ma la comunità c?è e per noi è fondamentale». Se normale è sinonimo di ordinario, proprio non ci siamo.

«Fiorenzo lo abbiamo adottato perché siamo egoisti», dice Stefano. «Quelli che dicono che siamo eccezionali, non hanno provato: noi figli ne avevamo, ma abbiamo voluto anche il di più di amore e di gioia che ci dà Fiorenzo». A ricordare quei giorni, la disabilità grave di Fiorenzo sembra perdere l?aggettivo: «In tribunale hanno tracciato un quadro terrificante, noi lo avevamo visto e ci chiedevamo ?ma sarà lo stesso bambino??», dice Michela. «Mi dicevano ?non camminerà mai?, e io pensavo ?ne ho cinque che camminano?. ?Non parlerà mai? e io ?ne ho cinque che parlano?. Questo ti permette di accogliere il bambino che arriva, senza l?ossessione di farlo diventare chissà cosa, senza inseguire miracoli. Lui si è sentito accolto, e i progressi poi li ha fatti». Stefano ammette che c?è stato un tempo in cui scrutava Fiorenzo per cercare miglioramenti: «Poi ho capito che l?importante era che lui nelle sue possibilità potesse vivere felice. Quello oggi è il mio obiettivo, lo stesso per Fiorenzo e per gli altri miei figli».

La battaglia della pastasciutta
All?inizio Fiorenzo non sopportava il contatto fisico. Quando sentiva i suoi fratelli avvicinarsi si irrigidiva spaventato, sbatteva le braccia e stringeva forte i pugni. Lo fa anche adesso, con chi non conosce. Ma l?altro giorno dal dentista c?era un?infermiera nuova, che ha iniziato a parlargli appoggiata alla carrozzina: e Fiorenzo le ha accarezzato le braccia. All?inizio Fiorenzo non comunicava: adesso se tu lo chiami lui ti guarda, e se è arrabbiato ti sente e non risponde, lo fa apposta. A scuola – perché Fiorenzo da due anni va a scuola, una scuola potenziata, tutte le mattine più due pomeriggi alla settimana, pranzo incluso alla mensa – con le fotografie sceglie fra cracker e merendina, acqua e succo all?albicocca.

E dire che all?inizio Fiorenzo rifiutava il cibo: mangiava un biberon di latte con dentro un omogeneizzato di carne e tre cucchiai di zucchero. «Neanche avevo il coraggio di assaggiarlo», ricorda Michela. «E niente verdura…», dice con ancora una vena di scandalo nella voce. Stefano gli sventolava un pezzo di pizza davanti e lui non voleva nemmeno toccarla: adesso gli salta addosso. C?è stato un periodo che per farlo mangiare ci mettevo due ore e mezza, ma ora mangia come noi: la pastasciutta, il risotto, le lasagne, il suo piatto preferito? Io non l?ho studiata psicologia, però quando ha iniziato a mangiare è stato come se ci dicesse: ho deciso di vivere anch?io».

La disabilità di Fiorenzo c?è, impossibile ignorarla o anche solo edulcorarla. Però Michela la vive alla giornata: «Non so come sarà tra vent?anni, so solo che io oggi ci sono e voglio fare la mia parte. Il suo handicap lo vivo così, mi chiedo solo che cosa lui ha bisogno oggi e che cosa io posso fare oggi per lui». Cioè lo porta nella scuola migliore, anche se deve fare 80 chilometri al giorno, e ogni volta che lui ha bisogno di cambiare i tutori alle gambe lei ricomincia daccapo la sua lotta contro la burocrazia? «La frustrazione di noi genitori non è la disabilità: è il fatto che devi lottare per avere quanto ti spetta di diritto», dice Stefano. «E non avere una persona che man mano ti dice ?c?è questa possibilità, perché non la sfrutti??. Sei tu che devi scoprire da solo le opportunità che ci sono e i diritti che hai».

A sentirli, alla fine, l?eccezionalità pare davvero un testardo a priori. Michela capisce di aver vinto: il suo «mi spiace, ma è così» trasuda un meritato orgoglio. E se c?è un dubbio che lavora come un tarlo, rispetto alla scelta di sette anni fa, è capovolto: «Chissà quanti progressi in più avrebbe fatto Fiorenzo se avesse trovato una mamma con un figlio solo, che poteva dedicargli più tempo». Le risponde Stefano: «Sì, ma Fiorenzo c?eri solo tu a volerlo. Un?altra mamma non c?era».


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