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Famiglia & Minori

Un esasperato augurio: preparati a lottare

È quello che ci si fa tra coppie che hanno un figlio con disabilità. Perché la quotidianità è tutta una lotta.Come raccontano Monica e Paolo che dal 2006...

di Sara De Carli

Anche Monica e Paolo hanno adottato un bimbo disabile. Luca (i nomi non sono veri) è arrivato con la Befana, il 6 gennaio 2006. A casa, ad aspettarlo, c?erano già tanti bambini: tre sorelle e un fratello, a cui oggi Luca somiglia in modo impressionante. «Si vede proprio che siete fratelli», dice la gente per strada. E Giulio, che ha sette anni, con gli occhi si contorce dal ridere, mentre col corpo si dà un?aria seria, della serie ?se sapessi??.

Anche qui siamo in un paese piccolo, dove con alcuni vicini si riesce a essere una famiglia allargata. Monica ha scelto di mettere nel cassetto la laurea e di non lavorare, per star dietro ai figli, mentre Paolo è dirigente di una grande azienda. «Ce l?hanno insegnato agli scout: se ti chiedono un impegno e lo puoi fare, allora devi farlo», spiega Monica. «Quando abbiamo visto Luca non ce la siamo sentiti di girare la testa dall?altra parte, sperando che ci pensasse qualcun altro».

Anche loro Luca lo hanno incontrato in una comunità per bambini disabili gravi. «Mantenere i contatti con la comunità da cui il bambino arriva è importantissimo, soprattutto all?inizio. Poi ti abitui, ma all?inizio ti spaventi per ogni febbre. Noi abbiamo detto sì a novembre e a inizio gennaio Luca era qui: manca il tempo della gravidanza». Monica e Paolo non hanno scelto Luca, un bambino in adozione non lo si sceglie mai, «però come genitori adottivi abbiamo scelto di accogliere una situazione che non ci apparteneva, ci siamo preparati. Se all?ultimo momento avessi detto di no, nessuno mi avrebbe giudicata. Diverso è se il bambino è tuo, se ti capita tra capo e collo: nessun genitore può essere pronto ad accogliere la disabilità. Allora noi non siamo speciali: anzi, siamo avvantaggiati».

Alla nascita, a Luca è stata diagnosticata una emiparesi: oggi che ha due anni al primo sguardo quasi non ce ne si accorge. Lui afferra un aspirapolvere giocattolo delle sorelle come se fosse un bastone, si mette in piedi e muove qualche passo titubante verso il divano: è la conquista di oggi, il papà ancora non lo sa. Loro, però, l?hanno preso ?a scatola chiusa?: «Ci hanno detto che poteva anche non camminare, non è facile decidere, soprattutto se ti proietti in avanti. Abbiamo una casa su due piani, se Luca non si muove dobbiamo per forza cambiarla, non tutti se lo possono permettere. Stesso discorso per la fisioterapia, non c?è un calendario fisso, te la mettono una volta al mattino e una al pomeriggio, è inconciliabile con il lavoro. Il nostro non è stato un sì monolitico e istintivo, niente ?core de mamma?: abbiamo fatto un bilancio delle forze, ci siamo chiesti se questo avrebbe potuto nuocere ai nostri figli, alla fine abbiamo deciso per il sì».

Monica dice che non hanno scelto di adottare un bambino disabile, ma un bambino, con tutto quello che si portava dietro. E lei non è per niente un tipo da zucchero filato: «La disabilità è una disgrazia per chi la vive: poi visto che c?è ci impegniamo tutti perché queste persone abbiano una vita serena, ma è un altro discorso». Un discorso che è la quotidianità di chi ha un bimbo disabile in casa: tant?è che circola un esasperato augurio, tra i genitori che cominciano l?avventura: «preparati a lottare».

Un esempio? A un anno, a Luca hanno fatto il test dell?intelligenza: a quell?età la prova della normalità sta nell?afferrare un oggetto con la mano destra. Ma la destra è la parte da cui lui ha la paresi: «Non ci potevo credere», dice Monica. «A un certo punto ho detto: ?Scusi, ma lei l?ha letta la cartella clinica di mio figlio??. No, tanto si fa sempre così. Ma ti rendi conto? Questa avrebbe scritto su un foglio che mio figlio è scemo solo perché lei ha sbagliato mano».


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