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Famiglia & Minori

Un gesto da ripensare

Abbiamo fatto girare la proposta del “patto per la vita”. C’è chi è inorridito e chi qualcosa di simile lo fa già.

di Sara De Carli

Lo diceva già madre Teresa, vis à vis con le donne che il loro bambino non lo volevano: «Fagli da mamma almeno per un po?, fallo nascere, poi una famiglia per lui vedrai che la troviamo». Nessun dubbio, su questo. Ma per una donna portare a termine una gravidanza che non desidera deve essere molto difficile. Come è possibile aiutare chi fa questa scelta? I servizi sono pronti a farsi carico di un compito così delicato? «Così come sono, no», dice Enrico Masini, responsabile del servizio Maternità difficile della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Innanzitutto dovrebbe cambiare chi nei consultori fa il primo colloquio con la donna che vuole abortire: non un medico né un?ostetrica, ma un?assistente sociale, che è più allenata a verificare i percorsi per rimuovere le cause che portano a chiedere l?Ivg». Masini di bambini non voluti ne ha visti nascere: «Questo gesto va rivalutato come positivo. Oggi non è nemmeno un?alternativa: l?aborto è l?unica soluzione. Concretamente occorre garantire riservatezza, dare una casa alle donne durante la gravidanza, portarle alla consapevolezza del bambino come qualcosa di reale». Masini non teme nemmeno il rischio ?mercificazione?: «Esplicitare e regolamentare l?incontro tra famiglie che desiderano un bambino e donne che non lo vogliono è anzi un modo per superare la clandestinità, come per la donazione d?organi».È dubbiosa, invece, Maria Rosa Giolito, responsabile dei consultori del Piemonte, la regione da cui parte la proposta: «La legge che garantisce l?anonimato al parto c?è già, il punto è che l?aborto è una scelta dove entrano in gioco molti fattori: la possibilità di dare il bambino in adozione non risolve tutto. Quel che escludo è la presenza di persone esterne ai servizi: le opzioni devono essere presentate solo da operatori dei servizi. L?assistente sociale? Basta che sia del consultorio, con tutti gli obblighi degli addetti alla sanità: in alcuni consultori del Piemonte esiste già, anche se per me è pari se il colloquio lo fa il medico o l?assistente sociale». La proposta fa inorridire, alla lettera, Paola Tavella. Ex redattrice de Il Manifesto, femminista, dice: «È terribile, è una logica da mercato. La vita di un figlio esiste quando la donna dice ?sì?. E quando hai detto ?sì?, come fai a separartene e a darlo in adozione?». Un?obiezione (ma è poi un problema?) confermata anche dai dati dei Centri di aiuto alla vita: «Su 85mila donne che abbiamo seguito in trent?anni», dice Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, «solo 500 hanno dato il bambino in adozione, le altre lo hanno tenuto. Già nel 1977 abbiamo raccolto un milione di firme per chiedere che la legge presentasse l?adozione come alternativa all?aborto: il problema è a monte, manca la cultura della vita». Dal canto suo l?Anfaa ricorda che di neonati abbandonati ce ne sono già, e che faticano a trovare una famiglia: sono i neonati con handicap. «Certamente non aiuta l?attuale stigmatizzazione di chi non riconosce il neonato: questa donna non sta abbandonando il bambino, lo sta consegnando alle istituzioni», dice Donata Nova Micucci.A parlare per esperienza diretta è Monika Nussbaumer, assistente sociale di Madre segreta, il servizio attivato nel 1996 dalla Provincia di Milano. Un unicum in Italia. Ogni anno al numero verde di Madre segreta chiamano circa 3mila donne: di queste una quarantina vengono accompagnate al parto, e la metà alla fine non riconosce il bambino. «Ci chiamano donne dal quinto mese in su, quando fare una Ivg non è più possibile», spiega la Nussbaumer. «Chi si accorge così tardi di essere incinta ha un vero e proprio rifiuto della gravidanza e della maternità, spesso è sola. La prima cosa è far maturare la consapevolezza del fatto che sta per nascere un bambino reale: poi inizia il percorso della donna. Noi accompagnamo al parto, non impostiamo nessuna scelta. In ogni caso non è possibile mettere insieme le due cose – la disponibilità ad adottare e la difficoltà delle mamme -, mi sembra un?idea che semplifica troppo: partorire un bambino e darlo in adozione è un percorso dolorosissimo, anche per l?operatore e anche nei casi – ce ne sono – in cui si sa che è la scelta giusta».


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