Leggi & Norme

Io, testimone stupefatto della realizzazione di un’utopia

In quegli anni lavoravo nell’ospedale psichiatrico femminile di Novara. Era una struttura modello. Ma si capiva che non era possibile, dall’interno modificare una realtà impenetrabile.

di Redazione

Quando, nel 1978, la legge di riforma psichiatrica è stata approvata sulla scia delle straordinarie realizzazioni che Franco Basaglia aveva attuato, in particolare nell?ospedale psichiatrico di Trieste, dirigevo l?ospedale psichiatrico (quello femminile) di Novara: nel quale ero giunto come primario quindici anni prima dopo essere stato assistente della Clinica delle malattie nervose e mentali dell?università di Milano. In Clinica mi ero occupato essenzialmente di neurologia, e non di psichiatria, e questo perché le cliniche universitarie, in Italia, consideravano la psichiatria come una disciplina delegabile agli ospedali psichiatrici, non essendo conciliabile con il rigore scientifico e clinico della neurologia: questo, certo, del tutto ingiustamente.

In ogni caso, negli anni in cui ho lavorato nell?ospedale psichiatrico femminile di Novara, grazie alla collaborazione di un gruppo di medici di formazione junghiana che venivano anche loro dalla Clinica universitaria di Milano, l?ospedale si è radicalmente trasformato nel senso di una grande e solidale comunità. A mano a mano si sono dilatate le modalità terapeutiche, non solo farmacoterapeutiche ma psicoterapeutiche e socioterapeutiche, con la eliminazione di ogni forma di contenzione (ancora oggi una realtà inaccettabile della psichiatria italiana) e con l?apertura delle porte dei reparti: con le pazienti che potevano uscire nel giardino dell?ospedale, e anche in città, e che, sia nelle sequenze acute sia in quelle subacute della malattia, potevano essere seguite nei soli aspetti psicopatologici e umani.

Certo, il limite della cura, anche in un ospedale psichiatrico aperto, consisteva nel suo essere una cittadella isolata dai contesti familiari e sociali, benché si fossero realizzati nuclei ambulatoriali nelle aree vicine e lontane.

La legge di riforma doveva necessariamente cancellare anche queste (infrequenti) oasi di una psichiatria ospedaliera, quella di Novara e quella di Padova, nella quale si realizzava una psichiatria umanamente e non solo clinicamente significativa: e questo perché nella quasi totalità degli ospedali psichiatrici italiani ci si confrontava con la epifania della indifferenza e della violenza tout court.

1978, un nuovo paradigma
La legge di riforma del 1978 ha, così, portato alla cancellazione di quelle che sono state strutture manicomiali non portatrici di cura, ma generatrici molto spesso di ulteriore sofferenza psichica. E ha portato alla costituzione di una psichiatria socialmente molto avanzata con la creazione di luoghi di cura decentrati nel territorio, e costituiti da servizi di psichiatria nel contesto degli ospedali civili, da ambulatori indirizzati non solo a terapie farmacologiche ma anche ad assistenza familiare e sociale dei pazienti, e delle loro famiglie, e da comunità terapeutiche articolate in sequenze, e in modalità di cura, diverse: da quelle destinate alla cura di pazienti, che non potessero fare a meno di luoghi di degenza a lungo, o a breve, termine, a quelle orientate ad arginare crisi, e malesseri, temporanei.

Il cambiamento di paradigma teorico e pratico è stato, così, radicale e rivoluzionario: la grande utopia, quella che sembrava utopia assoluta, quella che tendeva a superare e a rimuovere la insostenibile degenerazione della psichiatria manicomiale italiana, si era realizzata concretamente nel pensiero e nell?opera di Basaglia: e di questo cambiamento non si può non essere stati testimoni affascinati e stupefatti. Non era possibile, dall?interno, come si faceva a Novara e a Padova, modificare una realtà magmatica e impenetrabile come quella manicomiale: ma in questi trent?anni, che sono seguiti alla approvazione della legge, cosa è avvenuto nella psichiatria italiana?

La psichiatria è scesa tra la gente: non è più imprigionata fra le mura dei manicomi ma è intrecciata con la vita dei servizi sociali e delle associazioni (quelle dei familiari, in particolare). È cresciuto il numero degli psichiatri che vivono la psichiatria come una disciplina non solo medica ma anche psicologica e sociale. Benché ancora presenti, la dimensione e la forza del pregiudizio (dalla incapacità a riconoscere i significati umani della sofferenza psichica che è una possibilità umana), di quello che è chiamato ?stigma?, non sono più così dilaganti come nel passato. I modi di fare psichiatria si sono radicalmente decentralizzati, e si sono avvicinati al cuore dei luoghi in cui la sofferenza psichica si costituisce e si manifesta. Insomma, le grandi linee del disegno culturale, teorico e pratico, che sta a fondamento della legge 180, sono ancora oggi pienamente attuali.

Alle luci si accompagnano, certo, le ombre: quelle più dolorose riguardano i modi di articolare la cura nei servizi ospedalieri di psichiatria: nei quali continuano a dilagare porte chiuse, contenzioni, farmacoterapie stralciate da ogni contesto psicoterapeutico e socioterapeutico: modi che contrassegnavano la psicoterapia manicomiale. Ma anche l?articolazione delle comunità terapeutiche, snodo fondamentale della legge di riforma psichiatrica, non è animata da quelle attitudini alla ricerca e all?ascolto, alla partecipazione emozionale e, direi, alla caritas, alla cultura fenomenologica e antropologica, che sono necessarie alla attuazione di una psichiatria comunitaria: come quelle che la legge delinea.

Ombre, queste, che hanno molteplici radici: le scuole di specializzazione in psichiatria sono, quasi tutte, orientate in senso esclusivamente farmacologico, e non in senso (anche) psicoterapeutico e socioterapeutico, e anche l?insegnamento della psichiatria nelle facoltà di Medicina si muove lungo queste linee che, da sole, non bastano alla formazione in una disciplina così complessa come quella psichiatrica. Di questi problemi si dovrebbe occupare la politica, e non di deformare, o di contaminare, una legge davvero a misura d?uomo.


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