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Contenti così, senza far i pauperisti

Tre leader raccontano le loro buste paga.

di Redazione

Fabio Salviato
Una bicicletta al posto dell?auto aziendale. E in busta paga uno stipendio che non supera di cinque volte il salario dell?ultimo neo assunto. Fabio Salviato, già manager di Safilo, oggi alla guida di Banca Popolare Etica, fa quadrare i conti in casa, una moglie e tre figli, con un reddito lordo di 70mila euro, in fondo alla classifiche del bengodi bancario. Se in Banca Etica il differenziale tra top management e impiegati, deve stare – per regolamento – stretto a un multiplo di 5, nelle altre Popolari il rapporto è di 40, 50 volte. «Queste sono le condizioni per chi lavora in Banca Etica», dice Salviato, «non siamo certo un ordine monastico, il nostro contratto è regolato dagli accordi sindacali dei bancari. Quindi si guadagna abbastanza per vivere decorosamente, ma per statuto abbiamo scelto un equilibrio etico tra i salari. Il che è funzionale alla gestione dell?istituto, costi del personale bassi e maggiore efficienza». «Inoltre», continua Salviato, «i nostri clienti, quelli delle coop sociali e delle piccole imprese, non vantano certo stipendi da favola, anche se spesso rappresentano la parte più sana del Paese. Basti pensare che il nostro tasso di sofferenze è inferiore allo 0,5%». Secondo Salviato timbrare il cartellino in Banca Etica è una «scelta di libertà, una libertà che non ha prezzo. I nostri dirigenti potrebbero guadagnare ben di più, oltre il 30% dell?attuale salario, se accettassero offerte da altri istituti. Ma non lo fanno perché hanno scelto di operare al servizio del terzo settore».

Andrea Olivero
Il presidente appena rieletto ai vertici delle Acli con un voto plebiscitario ha un reddito di 75mila euro all?anno lordi. Ma è una cifra che va smontata pezzo per pezzo. Olivero infatti è un insegnante distaccato dal ministero dell?Istruzione all?Enaip, il grande ente di formazione delle Acli. Sul suo reddito pesano i ?gettoni? dei consigli di amministrazione cui partecipa in qualità di presidente Acli (come ad esempio Fondazione Sud): sono somme che lui restituisce all?associazione e che quindi vanno tolte da quell?imponibile. Ma Olivero non sente sua una mentalità pauperista. «La gratuità è una componente decisiva per chi sceglie di lavorare nel non profit, ma dobbiamo stare attenti a non svilire il lavoro dei dirigenti. Troppo squilibrio ci danneggia, perché prima o poi i talenti migliori se ne vanno». Per questo bisogna stare all?interno di un range ragionevole: «L?impresa sociale è un?impresa che accetta le sfide del mercato. Non è il luogo dei buoni. È il luogo dove si dà corpo a un modello diverso».

Michele Candotti
Il direttore generale del WWF ha un imponibile che fa cumulo con quello della moglie. «In tutto 115mila euro, al 55% generati dai miei redditi», spiega. Poi ci sono altri numeri che è interessante affiancare: Candotti è alla testa di un ente che fattura 21 milioni di euro, che ha 120 dipendenti e 80 collaboratori, gestisce 30mila ettari e ha 700mila tra soci e sostenitori. Da altre parti lo chiamerebbero un impero. Avesse continuato a lavorare dove stava, oggi avrebbe uno stipendio quattro volte superiore. E benefits imparagonabili. «Sono assolutamente contento della scelta fatta. Qui la redditività è valoriale, e non c?è stipendio che la ripaghi». Ma poi, come Olivero, anche Candotti lancia un avvertimento: «Attenti a non svalutare il nostro lavoro. Le competenze che vengono richieste non sono diverse da quelle del profit. Ci vuole la stessa professionalità, che però non può essere declinata in maniera fredda come se si fosse in un?azienda. E calare la professionalità dentro un sistema di valori con cui bisogna continuamente misurarsi, è una grande sfida». Quindi? «Sono contento, non tornerei indietro per nulla al mondo. Ma dobbiamo comunicare bene il valore del lavoro che stiamo facendo».


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