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Isoke, la maman anti trattaha sempre più amiche

marciapiede addio In Val d'Aosta è nata la casa che ospita le ex schiave del sesso

di Redazione

«Stupro a pagamento». Spiega così Isoke Aikpitanyi, nigeriana, quello che succede in Italia alle sue connazionali vittime della tratta. Un anno fa il suo libro Le ragazze di Benin City (edizioni Melampo), scritto a due mani con la giornalista Laura Maragnani, ha strappato un velo raccontando il traffico di merce umana che dalla Nigeria finisce sui marciapiedi d’Italia. Da allora, tutti i giorni, le ha telefonato qualche ragazza in cerca di aiuto: in un anno oltre 300 da ogni regione dello Stivale. Nigeriane come lei, la vedono come un punto di riferimento e una speranza di riscatto. Anche perché Isoke, sulla base della propria esperienza di ex vittima, ha creato una nuova via d’uscita che prima non c’era, o era poco praticata. Il suo approccio si basa sul mutuo-auto aiuto, sul coinvolgimento di clienti ed ex clienti e su un percorso di accompagnamento graduale verso la liberazione dai vincoli psicologici cui le nigeriane in particolare sono soggette.

«La merce è arrivata»
Vicino ad Aosta, in un villaggio di montagna, da poco è nata la prima «casa di Isoke», una microstruttura gestita da un’«operatrice par»”, come è definita in termini tecnici una come Isoke, nigeriana che aiuta altre nigeriane ad iniziare un percorso di reinserimento sociale. «Ma è soprattutto l’approccio ad essere innovativo e direi unico in tutta Europa», dice la sociologa Laura Maluccelli, che al caso di Isoke ha dedicato uno studio realizzato per conto del Fondo sociale europeo e pubblicato di recente da Franco Angeli (Vie d’uscita: strategie per combattere la tratta). Il “metodo Isoke” ha una storia dietro, anzi due: la sua e quella di Claudio Magnabosco, oggi suo compagno e protagonista con lei del progetto Le ragazze di Benin City.
Quella di Isoke è una storia semplice nella sua crudeltà: è il 98 e Isoke ha vent’anni quando parte per l’Italia. Un’agenzia in Nigeria, che poi si rivelerà fittizia, le assicura un lavoro come venditrice di frutta e verdura. A Londra i primi interrogativi quando, insieme ad altre, sente i propri accompagnatori parlare al telefono di «merce arrivata». Ma non è ancora consapevolezza di ciò che sta per accaderle. A Torino le dicono che il suo datore di lavoro verrà a prenderla alla stazione, ma lei a Porta Nuova aspetta per ore, da sola, senza che si presenti nessuno. Dopo molto tempo si ferma un’altra nigeriana. È venuta per Isoke, ma lei non lo sa. Raccoglie il suo sfogo, sente che non ha un posto dove dormire. Le dice che può andare a casa sua, che tra connazionali ci si deve aiutare. È la maman e per Isoke inizia un’altra vita, fatta di minacce, violenze fisiche e torture per insegnare, a lei e alle altre, che ormai non ci sono alternative.

L’incontro della svolta
Anni dopo, anche Claudio Magnabosco è a Porta Nuova. «Ero seduto su una panchina e piangevo», racconta. «Mi ero appena separato da mia moglie, che era partita portandosi via nostro figlio. Isoke mi ha avvicinato per chiedermi se avevo bisogno di aiuto».
«Quando l’ho incontrata stava provando da due anni a liberarsi», continua Magnabosco. «E questo è indicativo di come siano insufficienti mezzi e percorsi per aiutare chi è vittima della tratta. È stata anche due volte in ospedale, a causa delle violenze che i trafficanti riservavano a chi voleva ribellarsi. Ma non un’associazione è passata ad informarsi e nessuno le ha offerto una via d’uscita». Dopo un nuovo pestaggio Isoke finisce in coma. Quando si riprende decide di trasferirsi da Claudio. «All’inizio volevamo solo dimenticare. Ma non ci siamo riusciti, perché alla nostra porta hanno cominciato a bussare ragazze in cerca di aiuto, e anche clienti che si erano resi conto di cos’era la tratta. A lei è venuto spontaneo occuparsi delle prime, a me dei secondi».
Oggi in ogni regione d’Italia c’è un gruppo di auto-mutuo aiuto di clienti ed ex clienti della prostituzione che fa parte della rete creata da Claudio Magnabosco. «L’anno scorso siamo arrivati ad essere oltre duecento. Tra noi ci sono avvocati, psicologi e anche un prete. Partiamo dalle nostre fragilità, dal fatto che chi cerca una prostituta in molti casi ha dei problemi con se stesso da risolvere. E cerchiamo di fare qualcosa per sensibilizzare altri sul problema della tratta e della schiavitù cui sono sottoposte le ragazze».

La collaborazione con don Benzi
L’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione “premia” con un permesso di soggiorno di sei mesi la prostituta che denuncia i propri sfruttatori. «Ma iniziare un percorso di recupero chiedendo innanzitutto la denuncia, come fanno quasi tutte le associazioni che lavorano con le vittime della tratta, non funziona», spiega la stessa Isoke. «Le ragazze hanno paura delle ritorsioni, anche nei confronti della propria famiglia in Nigeria, e si bloccano. Maman e sfruttatori, tra l’altro, ottengono la libertà dopo un anno e mezzo di carcere e da quel momento in poi le vittime passano tutta la vita a fuggire». Isoke è diventata esperta di un percorso alternativo che non prevede in prima istanza la denuncia, «una possibilità che tra l’altro è prevista dal cosiddetto articolo 18 bis del Testo unico sull’immigrazione » spiega la Maluccelli. «L’Italia è stato uno dei Paesi più premiati a livello internazionale per avere una legislazione “pro victim” perché la normativa prevede sia il percorso giudiziario che il percorso sociale senza denuncia. Il problema è l’applicazione, e il conflitto con le misure contro l’immigrazione clandestina che privilegiano la via giudiziaria».
Isoke ha applicato senza sapere. È partita da un’idea: «Offrire alle altre le possibilità che io non ho avuto». Ha incontrato don Oreste Benzi, si è confrontata con il Gruppo Abele e con l’Arci. «La mia è un’esperienza piccola» dice, «poi l’importante è fare rete».


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