Welfare & Lavoro

La scuola senza diversibprodurrà disadattati

Dopo le dimissioni dall'Osservatorio per l'integrazione parla Andrea Canevaro

di Redazione

«Lascio perché il mio lavoro era avulso dal contesto politico-culturale che lo circondava». La Gelmini? «La sua rischia di essere una meritocrazia molto dannosa» L ‘ integrazione degli alunni con bisogni educativi speciali è fra le conquiste più importanti della scuola italiana. E, come tutti i traguardi davvero significativi, non è mai acquisito una volta per tutte: ha bisogno di cura, dedizione e di un impegno costantemente rinnovato. Lo sa bene Andrea Canevaro, docente del Dipartimento di Scienze dell’educazione all’università di Bologna, che per questi bambini ha speso la vita e la professione. Eppure, pochi giorni fa, insieme al collega Dario Ianes, ha rassegnato le dimissioni dall’Osservatorio per l’integrazione scolastica del ministero dell’Istruzione. Ai numerosi attestati di solidarietà arrivati dal mondo educativo di fronte a quelle che sono già state ribattezzate «dimissioni eccellenti» per la statura dei due pedagogisti, fra i più noti in Italia, si oppone il silenzio del fronte ministeriale. Eppure, la speranza è l’ultima a morire: «Chissà che un gesto “estremo” non serva ad evidenziare quella richiesta di dialogo ignorata fino ad ora».
Vita: Professor Canevaro, perché se ne è andato?
Andrea Canevaro: Quando si avverte che il proprio compito non solo è avulso dalla possibilità di un’intesa col referente istituzionale, ma anche dalla cornice politico-culturale che dovrebbe contestualizzarlo, mi sembra doveroso fare un passo indietro. Come si può accettare di contribuire all’integrazione di una categoria quando il quadro di riferimento in cui si opera va in senso contrario? Mi riferisco per esempio, ai rom o agli stranieri. Poi c’è nello specifico la scuola.
Vita: A cosa si riferisce?
Canevaro: Il ministro Gelmini invoca la meritocrazia e va bene, ma bisogna capire di quali meriti parliamo. Quelli di una scuola “efficientista”, che guarda la disabilità come un ostacolo alla riuscita altrui? Non vedo alcun merito nel trionfo dell’individualismo più sfrenato, né valenze educative. È piuttosto un “narcisismo perverso” e controproducente, che finisce per formare persone fragili, ma soprattutto fuori dalla realtà.
Vita: In che modo?
Canevaro: A chiunque capita di doversi misurare con persone che hanno un’organizzazione diversa dalla propria. Ma è questa complessità che fa bene al mondo. Pensiamo al cervello umano: oggi, elabora dati, sovrintende all’apprendimento, alla cognizione, organizza strategie, misura i tempi d’esito delle proprie azioni, trasmette al corpo gli input per mettersi in posizione di attesa o di vigilanza. Ma una simile articolazione non è un dato meccanico, acquisito una volta per sempre: è il frutto di un’evoluzione, generata dall’incontro con la diversità. L’illusione dell’autonomia agisce nella direzione di un impoverimento, di un’autoreferenzialità che apparentemente ci evita la fatica della relazione col mondo, ma di fatto ci rende incapaci di affrontare la realtà.
Vita: Ci farebbe un esempio concreto?
Canevaro: Al fratellino che gli chiedeva cosa volesse dire sindrome di Down, un ragazzo Down ha risposto: «Vuol dire che sono intelligente, ma che faccio fatica a stare al mondo». Possiamo avere la tentazione di impegnarci soprattutto o esclusivamente a togliere la fatica di quel ragazzo. Ma se “stare al mondo” fosse strettamente legato alla fatica? Non sarebbe più giusto impegnarci a trovare insieme il senso per quella fatica? Il gruppo, nella sua pluralità, può sostenere chi ha difficoltà maggiori.
Vita: Che cosa pensa del maestro prevalente?
Canevaro: Che è un’astrazione dalla realtà e dalla storia della scuola. È vero, in passato, sotto il profilo amministrativo, c’era un solo insegnante, ma la pluralità delle voci e degli apprendimenti era assicurata da altre formule. Recentemente sono stato a trovare Mario Lodi, grande pedagogista, che ha reso la sua classe un luogo aperto, dove i bambini incontravano coloro che andavano a trovarlo o che lui stesso invitava a fare lezione. Insomma, faceva di tutto per non essere unico. Oppure, pensiamo a don Milani, che promuoveva a colleghi i ragazzini più grandi, così che si facessero ognuno responsabile dell’altro.
Vita: Non le pare che il decreto 137, in fondo, sia una semplice riorganizzazione più che una riforma?
Canevaro: La mia idea è che i grembiulini e altre inezie del genere servano a nascondere la vera insidia: la trasformazione dell’istruzione da sistema pubblico a singole scuole private, che selezionano individualmente i propri docenti: sparisce la contrattazione collettiva e con essa l’appartenenza a un corpo insegnante nazionale. Ogni maestro rappresenta solo se stesso e il piccolo microcosmo che l’ha scelto: avvilente. Per non parlare, poi, di certe fantasie?
Vita: Quali?
Canevaro: Dotare le scuole di nuove tecnologie: coi soldi risparmiati sugli stipendi dei docenti, si fantastica di comprare lavagne interattive. Che dire, sono certamente più docili. Gli umani hanno voglia di capire, di litigare, di dire la loro, mentre le lavagne interattive sono diligentissime: non hanno nemmeno bisogno di rappresentanze sindacali!
Vita: Ogni volta che si tocca la scuola, però, qualcuno protesta…
Canevaro: Sì, la scuola è diventata col tempo un campo minato: qualunque proposta si faccia è recepita come una minaccia. Credo che questo sia il punto debole dell’istruzione italiana e, in questo, c’è sicuramente una corresponsabilità delle rappresentanze sindacali. Bisognerebbe partire da un’idea di maestro come colui che sta al servizio di chi cresce e non al servizio dell’autorità scolastica o del ministro. Diventerebbe più facile avanzare proposte di collaborazione reale, in cui gli insegnanti siano interlocutori privilegiati, non semplici esecutori che devono difendere uno status, e il loro know how sia una risorsa preziosa: dopo tutto, vivendo ogni giorno a stretto contatto coi bambini, possono dirci quello che nessun altro sa. Soprattutto ora che le classi sono così diverse da quelle di una volta.
Vita: Sembra fin scontato?
Canevaro: Tante volte le risposte intelligenti derivano da domande intelligenti e oggi agli insegnanti viene chiesto qualcosa di molto stupido: essere funzionari anziché educatori.
Vita: La mossa del singolo non fa la differenza?
Canevaro: Certo. Ma va detto che in questi anni di continui cambiamenti, l’andamento così tortuoso delle carriere ha impegnato la testa degli insegnanti oscurandone un po’ il compito educativo. Però è fisiologico: quando l’organizzazione personale è tiranneggiata da continue urgenze, modifiche dell’ultimo minuto, corse a ostacoli, viene meno quel livello di routine che permette di liberare le energie mentali necessarie a essere “buoni educatori”. I docenti dovrebbero poter acquisire l’abitudine a procedure ricorsive, in modo tale da dedicare invece la propria capacità creativa ed educativa ai ragazzi.
Vita: Giusto, ma la necessità dei tagli non è solo un capriccio…
Canevaro: Sono convinto che l’unico modo di ottimizzare le risorse non sia quello di operare riforme continue ma fare incontrare le competenze coi bisogni: un progetto che era all’ordine del giorno quando c’era Sergio Neri, ma che si è bloccato quando il ministro Moratti ha istituito un nuovo Osservatorio. Per esempio, se un bambino con diagnosi di spettro autistico non incontra mai un insegnante preparato a interagire con lui, i soldi che lo Stato spende per la sua istruzione sono sicuramente spesi male. Formare maestri adatti a soddisfare i bisogni speciali, invece, è l’unico modo di aiutare queste persone a stare al mondo, trasformandole da assistiti a contribuenti.


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