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Com’è democratica la morte che conviene

Arriva in Italia la traduzione di un libro che farà discutere

di Redazione

La morte moderna è una morte volontaria e democratica. I cui contorni sono segnati da un simposio a cui partecipano quattro grandi esperti: il direttore del dipartimento degli Affari sociali del governo svedese Bert Persson e i suoi tre ospiti: Caspar Storm dell’Istituto di bioetica, Aksel Roenning, storico e scrittore, e il teologo Seth Carnemo. Tutti invitati al centro congressi sullo stretto di Oeresund per trovare una soluzione alla “fase terminale della vita umana”.
È questo l’escamotage che lo scrittore svedese Carl-Henning Wijkmark utilizza per mettere in scena un’amara operetta morale datata 1978, che oggi Iperborea con Carmen Giorgetti Cima traduce in italiano. «La morte moderna», scrive Claudio Magris nella postfazione, «trascende il tema della vecchiaia improduttiva e inutile in un tema più ampio e più atrocemente contemporaneo, il pervertimento dell’ideologia della qualità della vita. In nome di quest’ultima considerata condizione essenziale per vivere, anziché cercare di darla a chi ne è privo, si sopprime quest’ultimo, eliminando così insieme il dolore e chi lo prova». Il ragionamento fila. Dice Persson: «Uno svedese su quattro è in pensione di anzianità, e uno su otto in età produttiva è in pensionamento anticipato. Il 75% dei costi della sanità va alla cura di malati cronici o senza speranza? In quel 25% di soggetti produttivi su cui grava il peso di tutto il sistema serpeggia uno scontento più o meno accentuato». Dove cercare la soluzione? Dai politici ci si può aspettare ben poco poiché «gli anziani conservano ancora il diritto di voto anche se hanno cent’anni e nessun partito può permettersi di perdere due milioni di elettori». Poi c’è il tabù «che si chiama rispetto della vita umana», di cui i medici soffrono in grande parte. L’unica strada percorribile, malgrado le resistenze di Roenning, sarà, in nome della convenienza economica della collettività, spingere «il singolo a chiedere di poter farla finita, magari come ultimo atto di autonomia». Un approdo clamoroso e ripugnante, che però per Magris rivela «nella moderna società di massa e nella crescente globalizzazione, una oggettiva impossibilità di dare a tutti ciò che loro spetta». Al di là di come la si pensi su testamento biologico e dintorni.


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