Attivismo civico & Terzo settore

La scuola muore di cattive riforme. Ripartire dal 1972

di Redazione

Sulla scuola e i suoi guai bisognerebbe guardare le cose in una visione prospettica. La scuola è un sottosistema del sistema sociale ed economico in cui si vive e quindi da esso dipende. Lo dico non solo riferendomi al Rappporto Unesco/Faure del 1972, ma anche guardando alla storia: la nascita delle Scuole di Santa Marta a Milano non fu dovuta al buoncuore di qualche benefattore meneghino, ma alla necessità di rispondere alle esigenze della nascente industria, e così la riforma della Scuola Media Unica in Italia non è leggibile come una straordinaria vittoria di non si sa chi, ma come esigenza di risposta ad una società che era completamente cambiata e non poteva più continuare a sopravvivere attraverso una scolarizzazione non di massa.
Gli ultimi tentativi di riformare la scuola italiana si sono rivelati fallimentari: la cosidetta riforma Moratti è stata progettata da un serio pedagogista, il prof. Bertagna, che poi si è dovuto dichiarare innocente delle varianti stravolgenti il progetto volute dalle legioni della signora Aprea. Approvato di forza, è sostanzialmente decaduto perché la stessa signora ministro, forse poco o nulla convinta, non pubblicò tutti i necessari decreti attuativi, pare che analoga fine stia toccando alle proposte della signora ministro Gelmini che si deve scontrare da un lato con il talebanismo della già citata signora Aprea, dall’altro con una realtà ben dura da affrontare. Il problema grave è che non si vuole rifare il percorso, lungo e faticoso, iniziato da Lombardi, prima, e Berlinguer, poi. Il punto di partenza fu l’utilizzazione della ricerca internazionale sull’alfabetizzazione (ricerca All) da cui si poteva evincere che il numero di analfabeti di ritorno sia di fronte ai testi scritti che, ancor più, di fronte ai testi numerici e grafici degli italiani sopra i 40 anni di età, anche laureati, era preoccupante (si aveva a che fare con tassi intorno all’8-10% tra i laureati oltre i 45 anni) come lo era anche in tutto il resto dell’Europa. Da lì e dai dati Pisa e Timss si doveva e si deve partire, ed ecco allora la volontà di accorciare di un anno il percorso per sottoporre ad esame di Stato finale gli studenti diciottenni in modo da facilitare l’ingresso nelle università ed arrivare a lauree piuttosto precoci come nel resto del mondo industrializzato, da qui l’obbligo scolastico a 18 anni, il tentativo di costituire un Servizio scolastico nazionale che comprendesse scuole statali e non, ma certificate, le prove periodiche di valutazione delle scuole e degli insegnanti. Su questo punto si aprì il baratro, tutto si bloccò: il tentativo di valutare fece scattare una serie di difese corporative per cui il sindacato di sinistra, la Cgil, quello di destra, lo Snals, il partito allora di opposizione Forza Italia si trovarono alleati e uccisero sul nascere l’unico tentativo di riformare la scuola. Un po’ di storia serve a capire.


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