Media, Arte, Cultura

quell’indulto del 1231

Il santo padovano ispirò una norma "libertaria"

di Redazione

«A richiesta del venerabile fratello Antonio, dell’Ordine dei frati Minori, fu stabilito e ordinato che nessuno sia detenuto in carcere, quando non sia reo che di uno o più debiti in denaro, del passato o del presente o del futuro, purché egli voglia cedere i suoi beni». È questo l’incipit di uno statuto comunale della città di Padova, emanato nel 1231. Si tratta di un regolamento relativo ai debitori insolventi, firmato il 17 marzo (lunedì santo) che pose fine per sempre («questo statuto non possa subire modificazioni di sorta, ma resti immutato in perpetuo», si legge nelle righe finali) alla consuetudine di incarcerare i debitori insolventi e di trasferire le loro famiglie al servizio dei creditori. Una procedura frequentissima in quei tempi a Padova, città sede di un gran numero di usurai. E proprio contro usura e avarizia si concentrò gran parte della predicazione di Antonio in città, dove – contrariamente a quanto si potrebbe credere – trascorse soltanto una manciata di mesi fra il 1229 e il 1230 e poi parte del 1231, anno della morte.
Tuttavia questo aspetto dell’impegno del santo rimase impresso nei padovani, tanto che se ne ritrovano prove iconografiche: nella chiesa di San Canziano, per esempio, c’è la tela di Pietro Damini Il miracolo del cuore dell’avaro, che rappresenta Antonio che, per convincere i fedeli della gravità dell’usura, al funerale di un avaro compie un miracolo dimostrativo che ricalca l’affermazione del Vangelo di Luca: «Dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore». Aperto il torace del defunto lo si trova, infatti, privo del cuore, che viene poi rinvenuto nel forziere. Sempre all’influsso di Antonio si attribuisce un altro statuto comunale del 1263, che fissò al 30% l’interesse massimo consentito sui prestiti.


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