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L’Enciclica vista da vicino

Parla Stefano Zamagni unico laico al cantiere della Caritas in Veritate

di Redazione

Economista e teorico dell’economia civile e del non profit, Stefano Zamagni, docente all’università di Bologna, presidente dell’Agenzia per le onlus e consultore del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, ha partecipato, unico laico, al comitato ristretto di 11 persone che ha lavorato in questi anni sull’Enciclica, preparando schede e materiali per la discussione e da sottoporre alla scelta definitiva di Benedetto XVI. Un ruolo che gli è stato riconosciuto proprio nel momento della presentazione pubblica di Caritas in veritate quando, accanto ai cardinali Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e Paul Josef Cordes, c’era proprio lui, l’editorialista di Vita a cui chiediamo di introdurci alla lettura della nuova Enciclica. «Prima di entrare nel merito», ci blocca subito Zamagni, «lasciatemi fare due considerazioni di metodo».
Vita: Il metodo quindi, professore, partiamo da qui, ce ne parli.
Stefano Zamagni: Il lavoro su questa Enciclica è durato quattro anni e in questo periodo c’è stata una vera grande consultazione dentro la Chiesa. Il Papa voleva licenziare un testo il più possibile condiviso dalle conferenze episcopali e perciò ha chiesto a tantissimi di lavorarci o di esprimere opinioni. Per questo mi sento di dire che il percorso verso la Caritas in veritate è stato un grande esempio di democrazia e di partecipazione a un dibattito vero, leale e franco.
Vita: La seconda annotazione metodologica?
Zamagni: Questa Enciclica doveva, secondo i piani originari, uscire due anni fa, per celebrare i 40 anni della Populorum progressio; poi per una serie di ragioni, in particolare per quella cui accennavo prima, esce dopo che la crisi finanziaria ed economica si è resa palese in tutta la sua gravità. Vede, i ritardi nella Chiesa non sono mai casuali, Manzoni direbbe che c’è la mano della Provvidenza. Se quest’Enciclica fosse uscita due anni fa avrebbe rischiato di essere obsoleta, mentre oggi la crisi che è esplosa è uno scenario esplicito a molti dei ragionamenti in essa contenuti.
Vita: Ci faccia un esempio dei temi intorno a cui c’è stato, come lei ha detto, “dibattito vero”.
Zamagni: Per citare solo un tema, c’è stato un gran dibattito sul titolo: molti, e io non ero tra quelli, sostenevano fosse più giusto e opportuno un titolo che invertisse i due termini del tema, e sponsorizzavano questo titolo: Veritas in caritate. Il Papa ha tenuto duro sul titolo originale e già questa mi sembra una prima grande indicazione: oggi è importante affermare il primato del bene sul giusto e sul vero. La ricerca della verità, che è sacrosanta, rischia spesso oggi di ridursi a scientismo, e la ricerca della giustizia, istanza nobilissima, spesso diventa giustizialismo. Il Papa con quest’Enciclica vuole innanzitutto riaffermare il primato del bene sul vero, in questo riallanciandosi a ciò che sosteneva Aristotele contro Platone.
Vita: Lei che ha seguito dall’interno i lavori su questa Enciclica, ci illustri i nodi a suo giudizio fondamentali.
Zamagni: L’Enciclica è un ordito dove tanti fili si intrecciano e ognuno può scegliere il suo. Io mi limito a sottolinearne tre. Il primo è il continuismo di questa enciclica rispetto a quelle socio-economiche dei grandi predecessori, Paolo VI (Populorum progressio) e Giovanni Paolo II (Centesimus annus). In particolare c’era chi sosteneva occorresse una certa discontinuità rispetto alla Populorum Progressio, accusata da una certa parte di Chiesa di sinistrismo. Ebbene, in Caritas in veritate all’Enciclica di Paolo VI è dedicato un intero capitolo e Paolo VI è più citato, nelle 127 pagine, di Giovanni Paolo II. Ed è giusto sia così, la dottrina sociale della Chiesa non procede per discontinuità, ma per sviluppo, per uno sviluppo dell’intelligenza della fede che si verifica nella storia, nelle mutate situazioni della storia.
Vita: Un secondo fil rouge per la lettura?
Zamagni: Mentre le precedenti Encicliche socio-economiche erano, diciamo così, difensive, mettevano cioè dei paletti (come la Rerum novarum sulla questione operaia), questa Enciclica non si limita a denunciare le storture di un’economia globalizzata, ma indica anche i modi di un suo superamento, indica i sentieri per un superamento dei modelli anarco-liberista e stato-centrico. L’Enciclica indica come necessario il recupero del pensiero dell’economia civile (definizione letterale!) e propone una distinzione davvero capitale e che spero venga davvero capita, tra economia di mercato come genius e capitalismo come specie. È una distinzione importante quella che fa tra mercato civile e mercato darwiniano (ovvero capitalistico). Insomma, l’Enciclica non va contro il capitalismo, va semplicemente oltre e ci dice che la crisi dell’attuale sistema economico-finanziario non è la fine del mondo, ma di un mondo, quello della massimizzazione dei profitti.
Vita: Lei in questi giorni ha spesso sottolineato come l’Enciclica inviti ad un’economia di reciprocità. Cioè?
Zamagni: Come si fa a far sì che il mercato diventi civile? L’Enciclica dà questa risposta: bisogna che il principio di fraternità giochi un ruolo da protagonista dentro l’economia, non solo accanto (beneficenza, filantropia, elemosina etc.). Bisogna che il principio di reciprocità acquisti spazio dentro l’economia?
Vita: D’accordo professore, ma non rischia questo richiamo di essere astratto?
Zamagni: Altro che astratto, l’Enciclica fa nomi e cognomi di esperienze in cui la reciprocità e il principio di fraternità fanno l’economia. Si cita l’economia non profit, l’economia di comunione, la cooperazione di consumo, le cooperative, le banche di credito cooperativo, il microcredito, la finanza etica etc. Vede, sono tutte esperienze in cui si mira non al bene totale (il massimo profitto o il bene collettivo) ma al bene comune. E voi di Vita ne sapete qualcosa? L’Enciclica – e mi sembra un’altra grande novità – dice che la solidarietà va giocata a livello di strutture economiche e non più o solo a livello individuale o collettivo. C’è grande forza teorica in questa Enciclica: si afferma la superiorità della visione relazionale nelle scienze sociali contro la visione dominante dell’individualismo assiologico, quella per cui ognuno è creatore di se stesso e il potere pubblico deve consentire a tutti questa autorealizzazione.
Vita: L’ultimo tema, la globalizzazione?
Zamagni: Dice l’Enciclica che è urgente – attenzione agli aggettivi – una governance globale di tipo sussidiario e poliarchico, no al super Stato da troppi invocato, quindi.
Vita: Concretamente?
Zamagni: Significa incoraggiare chi chiede che le Nazioni Unite si dotino di una seconda Assemblea, accanto a quella delle Nazioni, un’assemblea dove siano rappresentati i corpi intermedi. Significa incoraggiare la nascita, sempre in ambito Onu, di un Consiglio economico e sociale che abbia poteri sanzionatori simili a quelli del Consiglio di sicurezza, per colpire chi specula sul grano, sul petrolio o sull’acqua.


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