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Cooperazione & Relazioni internazionali

Apriamo il cantiere della città pro-attiva

Raymond Lorenzo, la voce di un urbanista sul campo

di Redazione

«Dentro questa grande tragedia c’è il seme di un nuovo modo di concepire il vivere comune. Fondato sulla partecipazione e la cooperazione». Le new towns? «Quelle sì che sono utopia»My City in Ruins? Come on, Rise Up(con la partecipazione proattiva)

Il mio primo contatto con L’Aquila post 3.32 è avvenuto martedì 14 luglio in occasione del convegno «L’Aquila Città Sostenibile» organizzato dal Comitato regionale Piccola industria Confindustria Abruzzo. Un’iniziativa lungimirante che sposava e approfondiva l’indicazione di ricostruire la città e dintorni «dove era, ma non come era»: un’impostazione apparentemente di lungo periodo – ma assolutamente necessaria a breve termine – per una città devastata su molti fronti, ancora pienamente dentro l’emergenza e (questa era la mia prima impressione) in preda ad una “perdita di speranza” e a un “future shock” e, quindi, difficilmente attivabile. La sala era piena.
Nel mio intervento – pur riconoscendo (dalla psicologia ambientale e, soprattutto, dalle mie esperienze nella ricostruzione umbra) i fattori impellenti alla base di questa impasse – ho cercato di spronare i presenti verso un atteggiamento più proattivo. Ho detto che occorreva avviare strategie partecipate, coordinate e condivise, riprendere in mano la gestione della quotidianità allontanando lo stato (pur utile, finora) d’assistenza e di “terapia”, che c’era bisogno di risaldare le reti collaborative locali, di svegliare le istituzioni (nel nome della “good governance”) e di riprendere in mano il proprio futuro. È stato un disastro, una tragedia, ma oggi è anche – o soprattutto – un’occasione per innescare un altro sviluppo per il territorio: più sostenibile ecologicamente, socialmente ed economicamente. Mi sono sentito a disagio nel dire tutto ciò a chi ha avuto lutti e a chi sta in tenda o altrove e non sa quanti anni o decenni passeranno prima di rientrare in casa loro. Ho avuto l’impressione che le nostre proposte non potessero essere accolte.
Nelle settimane seguenti ho avuto occasioni di capire che l’idea di una nuova “Aquila sostenibile e partecipata” non è tanto “di fuori” o irrealistica, né senza un appoggio diffuso a livello locale. La mia convinzione è nata attraverso il dialogo con le persone amiche che hanno organizzato l’evento e con i relatori (man mano formandosi come gruppo operativo) ma anche tramite gli scambi con la redazione di Vita e un’assidua frequentazione dei siti web dei collettivi e comitati locali ed anche (mi sorprende) della Protezione civile. Sono convinto che queste mie “piccole idee”, per dirla alla Paul Goodman, siano meno “utopiche” e insostenibili delle “new towns”. Idee che possono essere realizzate dall’incrocio tra risorse ed energie presenti sul territorio e quelle provenienti da fuori, dall’Italia e dall’estero. Ecco dunque la mia agenda:

Visione condivisa
La comunità dell’area colpita necessita di una visione condivisa sul futuro degli insediamenti, del suo territorio e, soprattutto, del suo centro storico. Un processo di pianificazione partecipata che «organizza la speranza» (Forrester) dovrebbe guidare la stesura di un Piano strategico. Le linee guide sviluppate dal Collettivo 99 (e altri gruppi sociali) sono un buon inizio. Ma questo documento – aperto a modifiche – dovrebbe essere anche l’oggetto di un “Town Meeting” che coinvolga un numero elevato di stakeholder (almeno 500) e che informi e motivi tutta la comunità. L’organizzazione di un tale evento (e del percorso successivo) richiede professionalità. La mia organizzazione ABCittà (www.abcitta.org) è pronta a dare una mano e sono sicuro che molti dei nostri colleghi “amici e competitori” dal “mondo della partecipazione” sarebbero disponibili, dove necessario. Il Piano strategico andrebbe disegnato per innescare a cascata numerosi Piani d’azione tematici con l’individuazione – già da subito – di risorse, ruoli e responsabilità.

Unità minime di Intervento
L’organizzazione della ricostruzione per comparti idonei e consapevoli richiede un accompagnamento professionale e ragionato . La distribuzione dei finanziamenti a singoli proprietari che si muovano individualmente non è sicuramente una soluzione fattibile per insediamenti compatti e complessi come sono i centri storici. Le Unità minime d’intervento (cito dall’esperienza dell’Umbria), organizzate questa volta con principi e approcci più partecipati come nei “Machizukuri” (participatory neighborhood committees), sperimentati e consolidati in Giappone (Kobe, per esempio), potrebbero guidare la ricostruzione verso soluzioni mediate, non conflittuali e quindi più cooperativiste. La base per una città più conviviale e produttiva.

Una nuova animazione
L’animazione socio-territoriale con bambini, giovani e anziani dovrebbe cambiare natura: da iniziative volte al “passare il tempo” o al “curare le ferite” andrebbero trasformate in veri e propri laboratori di progettazione partecipata. Posso immaginare l’innesco di processi di autocostruzione e manutenzione per diversi ambiti (scuole, parchi, orti, strade amiche, centri sociali, mercati verdi, fiere d’arte e cultura).

La carta dell’housing sociale
La situazione del centro storico e quindi dell’università, degli studenti, dei proprietari di case e delle attività culturali e commerciali richiede molta attenzione. È palese che per rinascere e sostenere il cuore della città è indispensabile un piano innovativo, fortemente partecipato e coordinato. Occorre un processo che sperimenti nuove forme di housing sociale, efficienza energetica, nuova tecnologia e imprenditoria giovanile attraverso la collaborazione tra collettivi e comitati, associazioni culturali e cooperative, istituzioni di formazione e ricerca, fondazioni, istituti di credito e il mondo economico e di lavoro. Ma anche il governo nazionale e quelli locali (sempre nello spirito della “buona governance”) . Forse qualcuno, al G8, doveva chiedere al mio presidente Obama un contributo nella direzione di quest’ultimo punto e non per la ricostruzione di una chiesa. Come diceva Giuseppe Morandini, presidente Piccola Industria di Confindustria, «prima il lavoro e le case, poi le chiese». Il tutto, è chiaro, nell’ottica della sostenibilità a tutto campo: raggiungibile solo attraverso una partecipazione genuina.


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