Cooperazione & Relazioni internazionali

Vivere in hotel sveglia alle 5 e mezza

di Redazione

Ore 5.30. Gli sfollati che lavorano e vivono sulla costa si alzano molto presto. Per continuare la loro vita ordinaria occorre mettersi in auto di buon’ora e fare centinaia di chilometri di autostrada e ore di coda al casello per arrivare al lavoro in tempo. Sono almeno 10mila i pendolari tra la costa e il capoluogo. Paolo è uno di loro. Una rapidissima colazione, poi via in auto.
Ore 8.15. Paolo arriva in ufficio. La sua casa è lì vicino. È un pensiero fisso. «Dopo il lavoro c’è sempre qualcosa da fare, torniamo nelle nostre case, anche per tener d’occhio quello che accade. Pure la burocrazia ci toglie tantissimo tempo».
Ore 10. È dura soprattutto per gli anziani. Passano la giornata seduti fuori dagli hotel, aspettando che passi il tempo e vengano serviti i pasti. «Siamo totalmente impotenti, c’è qualcun altro che decide per noi. Intanto ci hanno messo quaggiù, così evitiamo di pensare», dice alle 10 del mattino Peppino Di Felice, pensionato di Bariciano, trattenendo le lacrime. Sono al mare, ma è come se non lo vedessero nemmeno. Con la testa stanno tra le macerie, i turisti gli passano davanti e loro quasi non li vedono.
Ore 16. Gli anziani sono ancora lì. A non far niente. «Viviamo come in un limbo, non ci manca niente, ma ci manca tutto. Ci mancano i muri di casa nostra, la quotidianità delle strade e i negozi che non ci sono più». I ragazzi e i bambini paiono disorientati. Sono stati inseriti nelle scuole della costa, ma da quando sono iniziate le vacanze, le famiglie sono lasciate a se stesse. «Mia nipote da quando stiamo qui è diventata una selvaggia», dice nonna Gigliola, ospite al Mion di Roseto. Ora in molti stanno iscrivendo i figli a L’Aquila, anche perché il desiderio di tornare è forte. Ma le mamme si preoccupano di che vita sarà, in una città distrutta.
Ore 20. «Da mangiare ci danno sempre le stesse cose e il cibo non è quello che servono ai turisti. Loro mangiano in un’altra sala, separati da noi», racconta Paolo, appena rientrato in hotel, «per questo molti si organizzano per cucinare con il fornelletto in camera».
Ore 22. I pensieri corrono. C’è un grande desiderio di normalità, difficile da raggiungere in un hotel o in campeggio. Il marchio di terremotato pesa addosso alle persone, che vorrebbero liberarsene e ricominciare a vivere. «È come se ci fossero gli aquilani da una parte, il resto del mondo dall’altra», dicono.


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