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Vallanzasca, l’ex boss diventato volontario

Francesco Bellosi del Gabbiano: «Lo definirei un operatore naturale». Don Mazzi: «Dice cose che un nonno direbbe al nipote»

di Natascia Gargano

«Appena saputo che c’era lui, hanno fatto a gara per parlarci. In fondo, chi non lo conosce Renato Vallanzasca?». Ospite in una comunità protetta nel lecchese, in uno dei suoi permessi fuori dal carcere, l’ex boss della Comasina non ha perso nemmeno un briciolo di quell’appeal che lo ha reso il bandito più famoso d’Italia. Eccolo il re della mala milanese, che a lungo ha riempito di sangue le strade e d’inchiostro i giornali, nel purgatorio dei ragazzi difficili.
«Lo definirei un operatore naturale», Francesco Bellosi, che con Renato si conobbe proprio tra le mura di un carcere speciale, oggi è coordinatore dell’associazione Il Gabbiano: «Lui ha la sensibilità di chi da quel mondo ci è passato e sa quanto sia importante cambiare in giovane età».
Ormai lontano dai riflettori, che con lui hanno raccontato un pezzo di storia dell’Italia anni 70, il bel René viaggia verso i sessanta. Primatista delle condanne con quattro ergastoli e quasi 260 anni di galera, da tempo la «primula rossa» ha un’idea fissa: dare una mano a chi sta scivolando nella strada sbagliata. Un uomo capace di mettere in subbuglio un’intera città, oggi «trema come una foglia perché non sa prendere un metrò». È questo il Renato Vallanzasca che don Antonio Mazzi ha accompagnato a parlare nelle comunità Exodus, per dire quello che «un nonno direbbe ai suoi nipoti, ma con quella capacità di seduzione che mantiene intatta ancor oggi».
Achille Saletti, presidente di Saman, la onlus con cui Renato ha collaborato dal carcere come grafico, confida ciecamente nel nuovo Vallanzasca: «Ha ripreso in mano il suo passato e l’ha riletto completamente, è la dimostrazione che il cambiamento è possibile». Nessuna Damasco però sul suo cammino, lui i “pentiti” non li ha mai troppo digeriti. «A chi deciderà di porgermi una mano non darò mai modo di pentirsene, neppure vagamente», scriveva lo stesso Vallanzasca nella richiesta di grazia rifiutata prima da Ciampi, poi da Napolitano. Eppure la «naturale vocazione al sociale» di Vallanzasca convince profondamente gli operatori del settore: «È una persona piena di risorse e può ridare molto alla società», insiste Saletti, che ha seguito il bel René fin dai primi permessi dopo il trasferimento al carcere milanese di Opera. Personalità dall’indubbio carisma, Vallanzasca ha costruito un mito sulla sua grandeur, ma «spiegando ai giovani di non seguire il suo esempio, infanga il proprio mito e paradossalmente ha tutta l’autorevolezza per farlo», aggiunge il presidente di Saman.
«Sono nato bandito e questo so fare», rispondeva alle domande sulla sua scelta per la malavita. Forse oggi a questa frase non crede più nemmeno lui.


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