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«Questa è una lettera ai miei figli»

Giustino Parisse scrive a Domenico e Maria Paola, scomparsi a Onna un anno fa

di Redazione

«Questa è una lettera ai miei figli». C’è chi ha detto che Giustino Parisse ha scelto la strada più difficile, quella di farsi cronista del proprio dolore. Giornalista capo della redazione dell’Aquila del quotidiano abruzzese “Il Centro”, Parisse il 6 aprile di un anno fa ha perso sotto le macerie di Onna due figli e il padre. «Dopo un anno il dolore è, se possibile, ancora più forte» scrive sul sito del suo quotidiano, dove ha pubblicato una lettera indirizzata a Domenico e Maria Paola.

Una lettera che comincia così: «Stamattina, come ogni mattina da un anno ormai, ho creduto, nel mio dormiveglia, di sentire i rumori di una famiglia felice: porte che si aprono, l’odore del caffè che arriva dalla cucina, il libro che non si trova, l’ultimo ripasso prima dell’interrogazione, e poi l’uscio che si chiude, le portiere della macchina che sbattono, l’inizio di un nuovo giorno pieno di affanni, ma anche di gioie e fiducia nel futuro».

«Da un anno non sento più rumori» scrive Parisse «se non quello del tuffo al cuore quando, come se non volessi arrendermi all’evidenza, scopro che le vostre camerette non ci sono più, che là, sotto quelle macerie avete lasciato i sogni, le vostre cose, il cellulare per inviare i messaggi agli amici, il computer per studiare e per chattare, il diario con l’annotazione di un pensiero, di un appuntamento, di una festa alla quale non poter rinunciare».

«Quella notte di un anno fa, eravamo tutti in quella casa che credevamo la più bella e sicura del mondo. Ero io che ve lo avevo fatto credere e voi di papà avevate fiducia. Io ho tradito la vostra fiducia. Quando tu, Maria Paola, all’una di quella notte maledetta mi hai detto: papà, qui moriamo tutti, io ti ho rassicurato e ho segnato il tuo triste destino».

«Io ho avuto la grande colpa di fidarmi di chi ci rassicurava, come voi vi siete fidati di me» continua Parisse. «Ma della vostra morte sono il primo colpevole: non cerco alibi o giustificazioni anche se mi aspetto anch’io che la giustizia degli uomini faccia chiarezza fino in fondo e stabilisca se prima del sisma ci siano state leggerezze, superficialità, incompetenze. Per quanto mi riguarda chi ha scelto di farmi restare vivo mi ha condannato senza appello: non sono morto quella notte, me ne andrò pian piano fra i dubbi, i rimorsi, i sensi di colpa».

Parisse scrive alla figlia: «Pochi giorni prima del terremoto mi avevi chiesto: perché un giorno non ci facciamo una passeggiata? Nella tua voce c’era una sottile ironia. Sapevi che anche per fare poche centinaia di metri prendevo la macchina. Eppure quella passeggiata che non ho fatto con te è uno dei tormenti delle mie notti. Quando tutto fila liscio sembra che non ci sia mai tempo per fare le cose importanti. Poi, quando le cose importanti ti vengono a mancare ti accorgi di quanto era vuota la tua vita mentre inseguivi il nulla correndo di qua e di là come una trottola».

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