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La democrazia fiscale che piace a 15 milioni di italiani

Tutti i segreti della norma attiva dal 2006

di Redazione

Tanti sono gli italiani che scelgono di mettere la loro firma sul 5 per mille. Pari a circa il 60% dei contribuenti. E otto su dieci indicano espressamente anche l’ente che vogliono sostenereQuanto vale mediamente una firma per il 5 per mille?
Il valore medio della “donazione” è stato pari a 25,70 euro per il primo anno (l’unico per il quale si abbiano dati completi).

Quanti soggetti hanno ricevuto firme?
Nel 2006, gli oltre 37mila enti iscritti agli elenchi hanno ricevuto quasi 13 milioni di “preferenze”, mentre nel 2008 gli oltre 11 milioni di firme si sono indirizzate su 77mila enti.

Quali fasce di contribuenti hanno mostrato più attenzione a questo dispositivo?
Dai pochi dati a disposizione, tra coloro che hanno optato per il 5 per mille almeno 7 su 10 compilano il 730, pertanto sono lavoratori dipendenti o pensionati, o comunque chi non ha redditi da impresa o da lavoro autonomo. Pertanto il 5 per mille sembra aver fatto più presa nella fascia medio bassa, almeno nel primo anno.

Come vengono ripartiti i fondi di chi firma senza indicare codice fiscale?
Su più di 26 milioni di contribuenti, nel 2006 15,5 milioni hanno optato per il 5 per mille (sono stati 13,5 nel 2007 e 14,6 nel 2008) a questi bisogna sottrarne circa 2,4 milioni che hanno presentato una dichiarazione con imposta netta pari a zero. Dei circa 13 milioni di contribuenti, il 78% ha espresso una preferenza. Il 22% che ha invece apposto solo la firma per la categoria senza “preferire” alcun ente, si è visto “spalmare” il contributo in un modo curiosamente solidale. La parte “generica” (cioè quella derivante da dichiarazioni con le sole firme) è distribuita tra gli enti che hanno ricevuto almeno una preferenza in proporzione al numero di preferenze acquisite, ma in misura inversamente proporzionale al valore medio delle preferenze.

A chi finisce il 5 per mille dei contribuenti che non firmano?
Se il contribuente non firma alcun riquadro, la parte non optata del 5 per mille viene trattenuta dallo Stato per la spesa corrente. Questo diversamente da quanto accade per l’8 per mille destinato a sei confessioni religiose: per l’8 per mille la parte non “indirizzata” viene distribuita tra i partecipanti proporzionalmente alle scelte ricevute.

Ci sono meccanismi di controllo per verificare come i destinatari hanno speso i soldi ricevuti?
Con le erogazioni dei fondi relativi all’Irpef 2007 – dichiarazioni 2008 decorre l’obbligo di rendicontazione dell’uso dei fondi 5 per mille: rendiconti e le relazioni di accompagnamento dovranno essere trasmessi al ministero di competenza per l’espletamento dei controlli nei 30 giorni successivi alla scadenza dell’anno. L’obbligo riguarda i soggetti che hanno ricevuto contributi superiori a 15mila euro per l’anno di imposta 2007 – dichiarazioni 2008. Chi ha ricevuto meno di 15mila euro è esentato dall’invio ma deve comunque predisporre il rendiconto e la relazione conservando anche i relativi giustificativi per dieci anni.

Sui fondi ricevuti con il 5 per mille gli enti pagano le tasse?
Gli enti non commerciali non pagano imposte su questi fondi. Le cooperative sociali (onlus di diritto) e le cooperative onlus, invece, pagano le imposte anche su queste entrate nel caso non destinino queste risorse a riserva o non rispondano ad entrambi i seguenti requisiti: essere considerate cooperative di produzione e lavoro e avere un ammontare di retribuzioni corrisposte ai soci inferiore al 50% del totale degli altri costi, escluse materie prime e sussidiarie.

Che tipo di norma è?
Fino ad oggi il 5 per mille è introdotto di anno in anno nella legge Finanziaria (scelta che ha provocato di volta in volta numerosi intoppi burocratico-amministrativi). Dalla società civile, dal mondo accademico e da quello politico fin da subito è stata avanzata la proposta di stabilizzare il 5 per mille. Il perché lo spiega con chiarezza Luca Antonini, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Padova e membro dell’Agenzia per le onlus: «Nessuno sapeva come sarebbe andata. C’erano dei precedenti: ad esempio il 3 per mille ai partiti politici era stato un fallimento. Invece la risposta è stata un vero plebiscito a favore del non profit, che ha surclassato tutte le categorie ammesse. Il 5 per mille è uno strumento di democrazia: voti ogni anno e in questo modo contribuisci a far sì che le non profit abbiano fondi per le loro iniziative. Non solo. Favorisci uno sviluppo virtuoso del settore: ogni realtà è spinta a dimostrare come utilizza le risorse. È importante stabilizzare la misura: le non profit avranno la certezza di una fonte stabile di finanziamento».

A che punto è il progetto di stabilizzazione?
Presentato all’inizio di febbraio 2009 da un nutrito gruppo di senatori e deputati di entrambi gli schieramenti facenti parte dell’Intergruppo per la Sussidiarietà (tra i firmatari il vicepresidente del Senato, Vannino Chiti; il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi; il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri; l’onorevole Ugo Sposetti della commissione Finanze), il ddl 1366 che stabilizza il 5 per mille è composto da un solo articolo. Saranno ammessi al beneficio le onlus, le associazioni di promozione sociale, le associazioni e le fondazioni, gli enti di ricerca scientifica e sanitaria, le università, nonché le associazioni sportive dilettantistiche del Coni. È previsto un decreto annuale (di natura non regolamentare, del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dell’Istruzione e del Lavoro, di concerto con l’Economia) che dovrà regolare «le modalità di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità del riparto delle somme».


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