Welfare & Lavoro

Un prete coi piedi per terra e il cuore in alto

È stato un pioniere degli attuali progetti terapeutici. Aprendo alla scienza, ma senza dimenticare la centralità della persona

di Redazione

Un vero prete, con i piedi per terra e il cuore in alto. Questo era don Mario Picchi. Ha camminato al fianco di tanti giovani, fino alla fine. L’ho incontrato per la prima volta all’inizio degli anni 70, quando venne in visita alla Casa del Giovane di don Enzo Boschetti. Lui era il parroco di Pontecurone, un paesino tra Alessandria e Pavia. Lì si era accorto delle esigenze drammatiche dei giovani che uscivano dal 68: era stupefatto dalla loro incapacità di dialogare. Venne da noi perché già lavoravamo sugli stessi problemi causati dalla dipendenza da droghe.
Quando negli anni 80 cambiarono le leggi sulle comunità, con la richiesta di criteri di «maggiore scientificità», molti di noi hanno pensato «ora ci vogliono trasformare in cliniche». In quel momento don Picchi ha saputo affrontare il cambiamento, con il suo Progetto Uomo che veniva studiato ed era già strutturato come gli attuali progetti terapeutici. Lui già allora prevedeva il coinvolgimento delle scienze. Aveva capito che era cambiato il fenomeno tossicodipendenza e che ci volevano mezzi diversi per combatterlo. Per questo don Mario fu un antesignano, un pioniere, preso come riferimento anche dall’Onu e dalle organizzazioni internazionali.
Nel 1993, dopo la morte di don Enzo Boschetti, divenni il responsabile della Casa del Giovane, così i contatti tra di noi diventarono più frequenti. Andavo spesso a Roma al Ceis, il centro che aveva fondato. Lui ormai era il leader riconosciuto, ci fece capire che anche nel cambiamento dovevamo mantenere la nostra peculiarità. Il nostro modello di comunità, basata su un progetto educativo e radicata nel territorio. Non un’isola, ma un luogo vivo dentro le città. Diceva sempre che se si è in grado di dare un valore alla persona, questo riempie il suo vuoto esistenziale molto di più di quanto possa riempirlo la droga. In questo era agostiniano, sapeva che il cuore dell’uomo è inquieto. Questa è stata per me la sua lezione più grande. L’ultima volta che l’ho visto, a causa della malattia parlava quasi solo con gli occhi. Ma quando gli raccontavo delle nostre attività nelle comunità i suoi occhi si illuminavano.


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