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Il modello emiliano corregge la rotta

Addio agli appalti e via libera all'accreditamento delle strutture sociali. «Così garantiremo qualità e continuità. Prima le persone, poi i servizi», spiega la responsabile al Sociale

di Francesco Dente

Gli attrezzi del mestiere non ha dovuto comprarli. Li ha portati da casa. Casa e bottega, del resto, sono state la stessa cosa per almeno un quindicennio. Dal 1984, anno in cui insieme al marito ha fondato il centro di accoglienza La Rupe, al 1998 ha vissuto con la famiglia in quella che è stata prima una comunità per tossicodipendenti e ora una cooperativa sociale per persone in situazione di disagio e difficoltà sociale. Teresa Marzocchi, neo assessore dell’Emilia Romagna alla Promozione delle politiche sociali e di integrazione per l’immigrazione, il volontariato, l’associazionismo e il terzo settore, è veramente, curriculum alla mano, la donna giusta al posto giusto.
Classe 1954, quattro figli, di strada ne ha fatta dopo il diploma Isef. La laurea in Pedagogia, l’insegnamento con i disabili, l’impegno per un decennio nell’associazionismo sportivo (Csi), l’esperienza della Rupe, la consulenza per i ministeri della Sanità e delle Politiche sociali, il ruolo di portavoce della Consulta contro l’esclusione sociale del Comune di Bologna, l’incarico per due mandati di vicepresidente nazionale del Cnca – Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, l’incarico di componente della Consulta nazionale degli operatori e degli esperti per le tossicodipendenze. E poi la politica: il mandato di consigliere comunale a Bologna e la presidenza per un biennio della commissione consiliare Sanità, Politiche sociali, Politiche abitative. Ora, in un momento di magra, la sfida della guida del welfare emiliano.
Vita: Assessore, la prima voce del capitolo “Salute e società” del programma del rieletto presidente Errani è dedicata al Piano povertà. È questa l’emergenza da cui riparte il cantiere del welfare regionale?
Teresa Marzocchi: La nostra Regione si è caratterizzata da sempre per l’eccellenza dei servizi. Ora, alla luce delle modifiche del contesto sociale prodotte dalla crisi, è tempo di compiere un passo in avanti. Mettere al centro, come dice il programma, la persona e non i servizi o il problema che manifesta. I servizi sono in funzione della persona, non viceversa. Costruire, insomma, l’assistenza rispetto alle esigenze della persona superando anche la rigidità di alcune leggi di settore.
Vita: Una sfida che richiede di superare innanzitutto le difficoltà di dialogo fra sanità e sociale?
Marzocchi: Per l’Emilia Romagna non è una sfida ma un patrimonio già acquisito. A fine anno scade infatti la triennalità del primo Piano socio-sanitario. Ormai, infatti, non abbiamo più i Piani di zona ma i Piani della salute e del benessere. Gli stessi assessorati sono in uno stesso stabile e condividono lo stesso direttore. C’è dunque una forte integrazione politica, tecnica e territoriale. Certo c’è ancora da lavorare. Dobbiamo completare la diffusione degli sportelli sociali. Sono lo strumento che consente al cittadino di avere immediato riscontro alle sue esigenze ma soprattutto di non sentirsi solo di fronte ai problemi.
Vita: Su quale leva farete forza per assicurare la centralità della persona?
Marzocchi: L’accreditamento. L’Emilia Romagna ha già accreditato le strutture sanitarie e socio-sanitarie; ora sarà la volta di quelle sociali. Si tratta di un sistema regolativo alternativo alle gare d’appalto per l’assegnazione dei servizi. Con l’accreditamento garantiamo la qualità e la continuità senza dover acquistare i servizi di volta in volta.
Vita: L’assistenza ai non autosufficienti è una delle best practices regionali. Preoccupati per i tagli della manovra?
Marzocchi: L’Emilia Romagna ha investito le stesse risorse che lo Stato ha previsto per l’intero Fondo nazionale. Ma più di così non possiamo fare. Se lo Stato si tira indietro, mette in crisi anche il nostro impegno.
Vita: Che può fare il terzo settore di fronte alla crisi?
Marzocchi: Deve essere un compagno di lotta. Non possiamo delegare i servizi al terzo settore solo perché non ci sono soldi. Dobbiamo semmai ragionare insieme e valutare quello che effettivamente serve per assicurare una buona qualità dei servizi.


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