Sostenibilità sociale e ambientale

Saluggia, mezzo secolo di convivenza atomica

Due depositi di scorie a pochi passi dalla Dora Baltea

di Antonio Sgobba

Un centro “provvisorio”
in funzione da 50 anni, ma anche tanti soldi per “opere compensative”. Così
il sindaco lancia l’idea di ampliarlo. Ma l’opposizione non ci sta. E segnala anche un conflitto di interessi
A Saluggia, provincia di Vercelli, ci sono due depositi di scorie nucleari. Il sindaco però è sicuro: «Non saremo noi a ospitare il deposito nazionale. E lo sapevamo già da tempo. Il territorio è inadatto: siamo in una zona alluvionale». Lo dice Marco Pasteris, a capo di una giunta di centrodestra. Nell’ottobre del 2000, quando il Piemonte fu sommerso da un’alluvione, il premio Nobel Carlo Rubbia disse che a Saluggia si era sfiorata la «catastrofe planetaria» col deposito del comune piemontese di quattromila abitanti, a due passi dalla Dora Baltea. «Se il livello del fiume fosse salito ancora di pochi centimetri avremmo inquinato la Dora, il Po e l’Adriatico, con un disastro di proporzioni assai maggiori rispetto a Chernobyl», disse il fisico.
Le scorie sono ancora lì, ma «ora il perimetro Eurex è stato messo al sicuro», garantisce il sindaco. Così i saluggesi convivono col nucleare da più di mezzo secolo. Il deposito Avogadro si trova nell’area che ospitava già negli anni 50 un reattore nucleare del tipo “a piscina”. «Nel 1979 è diventato un deposito di scorie», spiega il sindaco. Incomincia allora la “convivenza forzata”, come la definisce Pasteris. «Ma grazie alla legge 368 del 2003 in questi anni abbiamo ricevuto circa 5 milioni e mezzo di euro per le compensazioni ambientali», continua il sindaco, «quest’anno abbiamo deciso di utilizzare 93mila euro per un’indagine epidemiologica sull’aumento delle malattie tumorali. La ricerca è partita a gennaio e si concluderà nel 2012. Così chi ha avuto problemi di salute potrà avvalersi dello studio».
Il deposito doveva essere temporaneo, utilizzato dall’Enel per il combustibile esaurito, in attesa di mandarlo all’estero per il riprocessamento e di dargli poi collocazione definitiva in un «sistema di confinamento unico a livello nazionale», come si legge nel sito del Simin, il Sistema informativo monitoraggio impianti nucleari della Regione Piemonte. «Ma per il deposito nazionale ci vorranno anni», osserva il sindaco, «sarà pronto forse nel 2018. Non possiamo aspettare così tanto, facciamo prima ad ampliare il nostro». La linea non trova tutti d’accordo. «Allo stato attuale abbiamo già l’80% delle scorie nucleari d’Italia, in quanto a radioattività, così finiremo col diventare noi il vero deposito nazionale», dice Paola Olivero, capogruppo dell’opposizione in consiglio comunale.
La questione ha diviso la comunità, ed è arrivata in parlamento. Il vercellese Luigi Bobba, deputato del Pd, ha presentato un’interrogazione sul conflitto d’interessi dell’assessore che, nell’estate 2009, ha rilasciato una proroga al permesso di costruire il deposito per rifiuti nucleari «in un’area in cui il piano regolatore vieta nuove costruzioni». Il problema è che l’architetto Paolo Ravetto, oltre ad avere la delega all’urbanistica, «ha lavorato come consulente per la Sogin», la società che gestisce i depositi e ha goduto della proroga. «Saremmo in presenza di una violazione del Testo unico degli enti locali», scrive Bobba. Il sindaco replica: «Arriverà qualche querela».


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