Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Attivismo civico & Terzo settore

Grazie alla riccerca una nuova arma contro la sindrome di Rett

Uno studio dell’Università di Torino e del San Raffaele di Milano individua un nuovo bersaglio terapeutico per questa malattia

di Redazione

Dalla ricerca Telethon un nuova possibile arma contro la sindrome di Rett, grave malattia neurologica di origine genetica ancora senza cura: a descriverla sulle pagine della rivista Human Molecular Genetics è un gruppo multidisciplinare coordinato da Maurizio Giustetto dell’Università di Torino e dell’Istituto nazionale di neuroscienze e Vania Broccoli dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano.
Rara e diffusa soltanto fra le femmine, la sindrome di Rett è una malattia ancora piuttosto misteriosa per gli scienziati: pur sapendo che nel 90% dei casi la causa risiede in un difetto nel gene MECP2, non è ancora chiaro come questa alterazione del Dna si traduca nei gravi sintomi tipici della patologia. Del tutto normali alla nascita, intorno a un anno di età queste bambine cominciano infatti a perdere in modo irreversibile le capacità acquisite nel linguaggio, nel movimento e nella relazione con il mondo esterno. «È come se il loro cervello rimanesse “congelato” in uno stadio immaturo e da un certo momento in poi non riuscisse più a rimanere al passo con lo sviluppo del resto dell’organismo» spiega Maurizio Giustetto. «Non si tratta però di una malattia neurodegenerativa in cui le cellule nervose vengono progressivamente distrutte, come accade per esempio nell’Alzheimer o nella corea di Huntington. Nella sindrome di Rett il problema sembra avere origine nell’incapacità delle sinapsi, i contatti fra un neurone e l’altro, di scambiarsi correttamente le informazioni nervose. Abbiamo quindi cercato di capire il perché di questo anomalo e, alla lunga, dannoso “dialogo” neuronale».
Grazie a competenze multidisciplinari, i ricercatori Telethon hanno studiato una particolare via metabolica già nota per essere coinvolta in altre forme di ritardo mentale: coordinato dalla proteina mTOR, questo gruppo di “attori molecolari” è essenziale per la sintesi delle proteine nelle cellule nervose e per la corretta formazione e funzionamento delle sinapsi. Studiando il modello animale della sindrome di Rett, Giustetto e collaboratori hanno scoperto che il difetto nel gene MECP2 interferisce proprio con questa via metabolica, determinando in particolare l’alterazione di una proteina chiamata rpS6. «Chiarire i dettagli molecolari di una malattia genetica non è un esercizio di stile, ma l’unica strada per scoprire possibili strategie terapeutiche» commenta ancora Giustetto. «Sappiamo infatti che esistono dei farmaci, già utilizzati in trial clinici per altre malattie neurologiche, capaci di penetrare nel cervello e di modulare l’attività di alcune delle proteine della via metabolica da noi studiata, come per esempio rpS6. Questo significa che in tempi ragionevoli potremmo pensare di testarli sulle nostre pazienti, nella speranza di controllare almeno in parte i sintomi».
Bisogna ricordare infatti che al momento non esiste alcuna terapia per la sindrome di Rett. «Correggere il difetto genetico con la terapia genica, come Telethon ha già fatto o sta tentando di fare per altre malattie, è particolarmente difficile in questo caso» spiega Vania Broccoli. In tutte le persone di sesso femminile, che hanno due cromosomi sessuali di tipo X, ogni cellula “spegne” uno di questi cromosomi: le bambine con sindrome di Rett sono quindi un mosaico, perché presentano alcune cellule con il cromosoma contenente il difetto genetico “acceso”, in una percentuale variabile da caso a casa e proporzionale alla gravità dei sintomi. «Se la terapia genica è un obiettivo più lontano, nell’immediato futuro è invece possibile ipotizzare delle terapie farmacologiche, magari combinate, in grado di interferire con i meccanismi alterati messi in luce grazie alla ricerca di base e di scardinare così il circolo vizioso che si instaura nel cervello di queste bambine. Convincendolo così riprendere contatto con il mondo circostante».
Allo studio hanno preso parte altri gruppi di ricerca italiani finanziati da Telethon, tra cui quello di Tommaso Pizzorusso dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Pisa e dell’Università di Firenze, Nicoletta Landsberger e Stefano Biffo dell’Istituto Scientifico Universitario del San Raffaele di Milano.

In alleato una scheda sulla malattia e sugli studi attivi


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA