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Sostenibilità sociale e ambientale

100 milioni in 10 anni

Fa il punto della situazione degli investimenti Marco Pigni direttore di Aper, l'associazione produttori

di Redazione

Dopo l’addio al nucleare, avanti tutta con le rinnovabili. Gli investimenti complessivi per la produzione di nuova energia da fonti rinnovabili nei prossimi 10 anni ammonteranno a circa 100 miliardi e porteranno al raddoppio della produzione, del fatturato e degli occupati. A fare il punto sulle prospettive delle fonti rinnovabili dopo la bocciatura del nucleare nel referendum è Marco Pigni, direttore di Aper, l’Associazione produttori energie rinnovabili. «Lo sviluppo delle rinnovabili nel nostro Paese», spiega Pigni, «erà già previsto. L’Italia infatti ha recepito la direttiva comunitaria che indica nel 2020 l’obiettivo del 17% di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici finali. Ora con l’abbandono del nucleare ci sarà certamente una ulteriore spinta in quanto rispetto al piano del governo che prevedeva di produrre dal nucleare circa il 25% del fabbisogno elettrico. Si tratta di circa 70 miliardi di Kwh previsti dal nucleare che andranno redistribuiti tra rinnovabili e termoelettrico di ultima generazione».

Per Pigni è ragionevole stimare che circa 40 mld di kwh dei 70 previsti da nucleare arriveranno dalle rinnovabili mentre gli altri 30 dal termoelettrico. «Ciò significa che al 2020 dei 340 mld di kwh di energia elettrica previsti 150 mld arriveranno dalle rinnovabili e 190 dal termoelettrico. In pratica l’energia elettrica da rinnovabili al 2020 potrebbe passare dal 27% attualmente previsto al 40%. Si tratta», aggiunge, «di un obiettivo ragionevolmente fattibile che le aziende del settore ritengono raggiungibile».

Ma la questione centrale, accanto agli obiettivi, è anche il modo in cui si raggiungono. «Ogni regione», sottolinea Pigni, «dovrà elaborare dei nuovi piani energetici regionali sulla base delle proprie vocazioni ed in modo che gli obiettivi nazionali risultino dalla virtuosa sommatoria dei 20 obiettivi regionali. Ciò significa che al Sud andrà sviluppato di più il fotovoltaico tradizionale e l’eolico, al Centro e al Nord le bioenergie, il geotermico, l’idroelettrico e e il fotovoltaico innovativo integrato negli edifici». Un obiettivo realizzabile, quello di portare la produzione di energia elettrica da rinnovabili al 40% del fabbisogno del paese, a condizione che ci si muova con chiarezza e sollecitando gli investimenti necessari.

«Si tratta», sottolinea Pigni, «di raddoppiare in 10 anni il fatturato del settore, portandolo dai 30 mld attuali a 60-70 mld, e il numero degli addetti dagli attuali 120.000 a 240.000». Un’operazione che necessita di investimenti significativi stimati in complessivi 100 mld nel decennio, a fronte di un onere relativo ai nuovi impianti a carico delle bollette elettriche pari a circa 10 mld sempre nel decennio. «Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici», continua, «occorre far salire l’attuale prelievo in bolletta dal 4% all’ 7-8 % . Si tratta di attivare un processo che prevede circa 10 miliardi di investimenti ogni anno per i prossimi 10 anni». Il rilancio delle rinnovabili, ad avviso di Pigni, deve essere anche l’occasione per disegnare una nuova politica industriale per il paese.

«Attualmente», spiega, «sia il fotovoltaico che l’eolico sono alimentati al 70% da materiali e tecnologie straniere. Dobbiamo porci l’obiettivo di portare l’industria italiana a produrre almeno il 50% dei materiali necessari alle due fonti rinnovabili». Attualmente importiamo per quanto riguarda l’eolico da Danimarca, Germania, Spagna e Usa, mentre per quanto riguarda il solare importiamo da Cina, Giappone, Usa e Germania. Negli altri settori, come le bioenergie abbiamo una migliore tradizione italiana e la tecnologia italiana produce circa il 60% dei materiali necessari. Paradossalmente, i dati dicono che il nostro paese, nonostante avesse rinunciato al nucleare con il referendum dopo il disastro di Chernobyl, non ha sviluppato una adeguata tecnologia a supporto delle fonti rinnovabili.

E ciò perchè è stata operata la scelta di puntare su gas e petrolio ritenendo le rinnovabili marginali. Nel periodo 2000-2010 si è continuato a installare centrali a turbogas. «Mentre gli altri paesi hanno creduto alle rinnovabili investendo in ricerca e sviluppo nel settore», afferma Pigni, «l’Italia ha mostrato miopia. Ora dobbiamo recuperare il terreno perso. Possiamo farlo investendo sulle rinnovabili di seconda generazione come il solare termodinamico, la geotermia e le acque superficiali. Occorre investire in ricerca e puntare anche sui biocarburanti di seconda generazione come i biocarburanti da legno di scarto, il bioliquido e il biogas da manutenzione boschiva».


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