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Fisco, 12 micro-riforme per non tarpare (ancora) le ali al non profit

non profit

di Antonio Cuonzo

Alla luce dei recenti lavori preliminari per una riforma tributaria, ci permettiamo di farci in qualche modo voce del settore non profit sperando di non veder del tutto trascurate, come in precedenti occasioni, alcune esigenze tecniche e subire gli effetti di disposizioni di carattere generale che spesso rivelano sul terzo settore effetti collaterali indesiderati.
Si comincia a parlare, in termini generali, di tre aliquote d’imposta, di riduzione numerica delle imposte, di aumento delle aliquote Iva e riduzione delle casistiche di deduzione e detrazione.
In vista dei nuovi propositi di riforma fiscale, che certamente inciderebbero, in via indiretta, in maniera sfavorevole per gli enti del terzo settore (l’Iva sarebbe per molti un maggior costo e la riduzione di deduzioni e detrazioni sui donatori certamente non aiuterebbe), ci permettiamo di evidenziare alcuni (tanti ve ne sarebbero, ma ci limitiamo a quelli che crediamo principali) interventi tecnici, certamente meno rivoluzionari e meno generali, che però riteniamo potrebbero incidere favorevolmente, in maniera del tutto pratica e decisiva, nella quotidiana operatività di questi enti.
In tal senso, a nostro sommesso avviso, occorrerebbe:
a) esplicitare, in modo concreto, il concetto di attività “occasionale”, ad ogni fine in cui esso rileva, per gli enti del terzo settore;
b) dettagliare normativamente il concetto di “contabilità separata”;
c) separare le disposizioni di tassazione delle onlus dal contesto delle disposizioni degli enti non commerciali;
d) rivisitare, alla luce dei principi di libertà di stabilimento della Comunità Europea, le disposizioni interne dedicate agli enti non commerciali non residenti;
e) definire in modo univoco e chiaro il concetto di attività direttamente connessa delle onlus;
f) prevedere per le onlus un obbligo di deposito del bilancio;
g) prevedere, per gli enti esclusi dal novero soggettivo delle onlus, espressa possibilità di dar vita a strutture giuridicamente autonome in grado di assumere a loro volta la qualifica di onlus;
h) riformare, nell’attuale realtà professionale del cosiddetto terzo settore, le assurde disposizioni relative all’individuazione di un tetto massimo (il 20% dei compensi stabiliti nei contratti collettivi) per gli stipendi destinati ai lavoratori dipendenti dei soggetti onlus, la cui applicazione è poi generalizzata nei confronti di tutti gli enti non commerciali;
i) rivisitare l’impraticabile, ma parimenti terrorizzante, casistica di responsabilità solidale, a carico dei legali rappresentanti e dei componenti gli organi amministrativi delle onlus, per le imposte non versate da terzi che hanno beneficiato di deduzioni o di detrazioni;
j) attenuare l’esasperata ed obsoleta limitazione operativa posta dal dl 25 maggio 1995 in tema di attività marginali delle organizzazioni di volontariato;
k) attribuire una qualche agevolazione tributaria all’impresa sociale di cui al dlgs 24 marzo 2006, n. 155;
l) eliminare, nel contesto delle disposizioni sulla deducibilità delle erogazioni liberali al comparto del terzo settore (la cosiddetta “+Dai -Versi”), il difficile incrocio tra legittimità delle deduzione e correttezza contabile del beneficiario dell’erogazione liberale.
Tutto ciò aiuterebbe non poco la quotidiana gestione degli enti non commerciali ed in particolare l’azione di soggetti di estremo impegno sociale come le onlus. Perseverare con la logica di provvedimenti normativi “solo indirettamente incidenti” su un comparto, quello del “non” profit, definito e legiferato in “negativo” e “in via residuale”, non crediamo sia d’aiuto a chi sostiene l’economia civile del nostro Paese.


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