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Michela Murgia: «Essere mamma deve essere una possibilità»

L'autrice di "Ave Mary" e il dramma dell'aborto

di Redazione

Le donne credenti hanno dovuto ascoltare secoli di prediche sulla Maria obbediente e accogliente, la Maria docile e silenziosa, che non discute anche quando non capisce. Sì al matrimonio, sì al servizio, sì alle gravidanze «tutte, sempre e comunque». Nell’Ave Mary di Michela Murgia (Einaudi), straordinario saggio sulla forza con cui il cattolicesimo ha plasmato il modo in cui le donne italiane, cattoliche e no, si percepiscono, l’unico cenno (per omissis) all’aborto è questo.
Perché?
È stata una scelta. Io considero l’aborto una sconfitta, forse la maggiore che possiamo subire anche come donne, ma allo stesso tempo non posso buttare addosso alla donna tutta la colpa dell’insostenibilità della maternità. Un figlio è figlio di tutti, non del singolo. Quando una donna abortisce, la maggior parte delle volte è un aborto collettivo, di sistema. Quando devi licenziarti, firmare le dimissioni in bianco, quando il costo sociale del fare un figlio è rimettere in discussione tutta la tua vita, come si fa a dire che l’aborto è un peccato del singolo e non un dramma collettivo? Invece la Chiesa dice questo.
Alla Gmg di Madrid tutti i sacerdoti sono stati autorizzati ad assolvere chi confessava di aver abortito, cosa che di solito è riservata ai vescovi.
Dov’è lo scandalo? Non è che allargando la possibilità di confessarsi si faccia un discount del perdono… Il fatto è che a Madrid, dal Papa, avrei voluto sentire più parole contro il precariato che contro l’aborto. Torniamo all’esperienza lombarda che mi ha citato: il vero intervento che un’amministrazione deve fare per aumentare la vivibilità della maternità è un investimento sul welfare. Se le donne devono supplire alle carenze dello Stato in termini di servizi è inevitabile che le donne che non possono permettersi di essere ammortizzatori sociali rinuncino al figlio.
Il modello di santità indicato alla donna è Gianna Beretta Molla, madre morta di parto per aver scartato l’ipotesi di un aborto terapeutico. Vede segnali sociali di questo ritorno a far coincidere donna e mamma?
Vorrei dire di no, ma devo dire di sì. La posizione sociale oggi più gratificante per la donna non è quella lavorativa, dove è costretta a risalire la corrente come il salmone, ma è tornata quella di essere moglie e mamma. Appena compi 30 anni tutti ad assillarti,«allora quando fai un bambino»… La società si sta irrigidendo in quel senso. Penso all’idea che per la donna il lavoro sia un optional e non un diritto. La maternità vista non come una possibilità ma come destino, per cui la deroga non è un’eccezione ma una snaturalizzazione. Di un uomo che non ha figli nessuno pensa che abbia mancato la sua vocazione più profonda. Delle donne sì.
Maria per lei è una sovversiva?
Maria dice un sì che non era previsto, senza chiedere il permesso a nessuno. Dice questo alle donne: quando vi si offre la più improbabile delle opportunità per la vostra vita, abbiate il coraggio di assumervi la responsabilità del vostro sì, anche quando contrasta con ciò che avete attorno.


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